guardare e non toccare

ieri ravanavo dietro al buon peter nei boschi dietro maelì, i nostri boschi di casa, quelli che abbiamo percorso su e giù insieme tante volte, estasiati di andare a provare un tiro nuovo, o raccontandoci per l’ennesima volta quanto gatto nero sia un palo di seiccì che forse neanche fotonica..

ravanavo con delle scarpe da skate e il leggerissimo zainetto da falesia, che la corda lo porta sempre lui perchè io ho ancora il mio canapone da 5 anni e non c’ho i soldi per cambiarmela e allora oltre al danno la beffa che la corda se la porta sulle spalle, fisiche non solo economiche, il socio.

quindi il massimo della comodità. o meglio, sempre di ravanage si parla e quindi il concetto di comodità sprofonda nella sua relatività. eppure eravamo al comodo.

eravamo andati, infatti, quella stessa mattina che poi il pomeriggio ravanavamo in quel bosco al sole, in uno dei posti più affasciannati delle nostre valli. un posto comodo da raggiungere, tuttavia poco frequentato. la via mala. che la gente ci passa per andare a colere, ma non si ferma. e non la vede. e non la pensa. e non sa le attese e le meraviglie che, come per i lupi mannari, tira fuori qualche sporadica volta ogni qualche manciata di anni.

ne avevo sentito sempre parlare di questa via mala. e delle sue cascate. ma da quando ho preso in mano le picche per la prima volta ancora non si erano mai solidificati quegli schizzi sulle lisce mura del canyon scavato dal dezzo nel compatto calcare della presolana. e io non era neanche mai andato a curiosare. poi lo scorso weekend, scendendo dalla valle degli orti, ho pensato di andare a visitarle, che freddo faceva freddo. e chissà, magari..

e allora, eccoci, con il socio giusto, perchè arriva da fuori porta e non conosce la valle, ma al contempo gli piace fare turismo alpinistico (che rarità, la gente che sa ancora meravigliarsi di fornte agli spettacoli della natura! quanti che oggi vanno, e focalizzano il loro intento solo sul passo non passo. riesco non riesco. stampo non stampo. e intanto i profumi e i colori e i tramonti… addio!)

allora insomma, parcheggiamo e davanti a noi una meraviglia.

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incredibile. siamo estasiati. altro che il verdon!! l’ambiente è veramente incredibile! ricordo di esserci stato da piccolo da queste parti, coi miei. ho vaghissimi ricordi di gallerie ghiacciate, ma niente più. adesso che qualche montagna in giro l’ho vista, mi rendo conto dell’auseterità e della magneficenza di questo angolo di mondo: un pezzo di valle, che non è neanche una valle vera e propria: figlia minore della val di scalve e laterale storta dell’imponente solco glaciale camuno, la via mala è lì, una strettoia, un passaggio angusto. percorso da una stradina sottile che si inerpica tra tornantini e ruscelletti, e che adesso, nella aprte alta (dove ci sono le cascate), viene inghiottita dalle gallerie (prima invece passava proprio sopra le cascate (!!!)).

guardare questo canyon ti spiazza. ti spiazza in primis pensare alla gente che prima delle gallerie (vent’anni fa!), e delle ruote da neve e dell’abs, e del riscaldamento globale, viveva in val di scalve. che paradiso doveva essere allora questa valle incassata nel mezzo delle sconosciute al mondo prealpi orobiche? e che gente con le palle dovevano essere i valligiani? adesso invece la gente tende a scappare dalle valli. al contrario di quello che ogni logica potrebbe far pensare: diminuisce la distanza (in termini di tempo) dalla civiltà, dovrebbe essere un incentivo a vivere in pace. in mezzo al bello. invece no. di fronte al dito della comodità ecco tanti ad aggrapparsi al braccio! e le valli si spopolano. si svuotano di abitanti, e purtroppo si popolano di turisti chiassosi e irriverenti, che arrivando dalla città non conoscono dei concetti di base, che i valligiani invece vivono tutti i giorni: il rispetto. il silenzio. lo stupore. la calma. la fatica.
e allora ecco il fiorire del turismo da impianti di risalità, ecco fiorire i parchi giochi della montagna, dove sono dei potenti motori diesel della seggiovia che si preoccupano della fatica e del silenzio e della scoperta, azzerandoli. dove i potenti motori diesel dei suv-astronave, che oltre a non passarci nella stradina della via mala, provvedono a preoccuparsi della purezza dell’aria e del concetto di bellezza, stuprandoli. e così le valli, sempre più vuote di abitanti, si riempiono di rifiuti prodotti dalla gente della città.
e tra questa gente ci siamo noi. che andiamo in questo angolo di paradiso con l’intento di salire le cascate. e poi tornarcene a mangiare seppie e piselli.

dicevo, sono stato per la prima volta in via mala la scorsa settimana. e poi ci sono tornato tre volte, la stessa settimana. portando amici diffrenti, a vedere questo spettacolo della natura. e a tenere d’occhio, a curiosare. con la calma. che si formasse quella colata. la perfezione, la bellezza. a sbirciare, con reverenza. sempre sorprendendomi della particolarità di questo posto. e l’ultima volta ci sono tornato con peter. ero convinto ci sarebbero state le condizioni. ed effettivamente c’erano, abbastanza.

siamo arrivati, e faceva un freddo cane. siamo andati lì. sopra la madonnina. e abbiamo guardato giù, appoggiandoci alla cappelletta dedicata alla madonnina. noi inverecondi, lì, davanti a tanta maestosità, giusto sotto questa chiesetta in miniatura. e ci siamo cagati addosso. almeno, io sì. senza cazzi.

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avevamo tutto. corde picche ramponi e chi più ne ha più ne metta. avevamo le strategie e le informazioni. ma non abbiamo avuto le palle. almeno, io non le ho avute. sono rimasto lì a guardare. abbiamo fatto il giro a vedere le condizioni, ma non erano eccezionali. l’unica salibile era quella. forse. e comunque era dura. durissima. per me e il mio livello. se avessi avuto la spinta probabilmente sarei salito. ma il livello, sul ghiaccio è dato anche dalla testa. e la mia testa ha risposto picche. ha risposto allenarsi. ha risposto sei un coglione perchè non si forma mai e ti mangerai le mani gli anni a venire che magari sarai diventato capace di farle ste cose e adesso che sei venuto fin qua e la cascata c’è, non ne hai le palle. e lo sapevo fin dall’inizio che avrebbe potuto andare a finire così. lo sapevo la sera prima rigirandomi nel letto. lo sapevo il giorno prima quando guardavo il quaderno di costruzioni, che sarebbe stata una questione di cuore. che alla fine la differenza tra un alpinista di talento e uno mediocre si vede in quei momenti. e lì non ce n’erano di cazzi. mi cagavo addosso. e non abbiamo neanche fatto la calata. e l’ostacolo ero io. perchè peter mi avrebbe seguito, se io avessi avuto le palle. ma niente. non le ho avute. abbiamo scelto di tornare sui nostri passi. di andare in quella falesietta al sole dietro casa, che alla fine lì si stava bene. abbiamo scelto il facile e il comodo. senza rimpianti, sarei tentato timorosamente di aggiungere. forse a malincuore. ma sinceramente.

perchè avrei avuto problemi con la mia coscienza, se non ci fossi andato fin su là quel giorno. quello sì. ma ci siamo andati. e quindi bona, il possibile era stato fatto. poi bisognava fare la differenza con la testa. e quella differenza non era per me. e allora amen. una lezione di umiltà dalla montagna, che è la più grande maestra. altro che l’università. cosa vuoi di più?

l’alpinismo è fatto di sofferenza a volte. un soffrire più o meno piacevole, che fa parte del gioco. a volte la sofferenza non si presenta solo come freddo alle mani o come fatica nel risalire un pendio con uno zaino pesante sulle spalle. ma anche come pacata necessità di arrendersi all’evidenza dei propri limiti. è una sensazione strana. quando guardi il tiro sopra di te e devi rassegnarti che niente, di lì non si passa. è strano ma ci sta. alla fine si scelgono obbiettivi sempre più ambiziosi proprio per cercare i propri limiti. per vederceli sbattere in faccia. per farci rammentare che chi comanda è lei, la montagna, e noi non possiamo che farci piccoli al suo cospetto e, trovato il coraggio, provare ad andare a bussare alla sua camera e sperare che quel giorno ci conceda una visita; decida di regalarci un permesso speciale per andare alla finestra della sua camera e guardare fuori: il mondo dalla cima. la sua volontà è irremovibile, e da buona madre, a volte deve dispensare i divieti. e quando si riceve un no, da lei che ci conosce meglio di chiunque altro, allora vuol dire che era giusto così. e che era la cosa migliore da fare, tornare al riscaldamento della macchina. e al caffè con al grappa dal mazi o alla falesia al sole. insomma, a qualunque fosse la prospettiva di comodo che avevamo preventivato come alternativa.

grazie via mala, per ora abbiamo guardato senza toccare. chissà che un giorno, questo sogno di venire a infilare le picche tra i tuoi cavolfiori si avvererà..

PS1: le foto sono il primo tiro della cascata del pozzo (?) e il primo salto dela madonnina, sono della seconda ricognizione, 3 giorni fa, il 20/01. ieri la madonnina era circa il doppio (mea culpa on ho fatto foto), ma mi sa che col caldo che davano oggi e domani saranno cazzi.
PS2: non potevo che mettere questo articolo nella categoria schizi, vista la conformazione della cascata. :D peace! :D

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