oppio al cavallo e falesismi vari

posto in ritardo qualche riga scritta verso metà marzo.

Una settimana intensa. Spesa a godermi appieno la roccia e l’arrampicata. Impiegata nel migliore dei modi a trasferirmi da parete a parete, per il nord italia e non solo, ma soprattutto nella mia valle, sulle falesie di casa, che sono tante e sempre da scoprire.
Ho girato in lungo e in largo, con treni autobus e macchine varie. Da solo, o in macchine strapiene di gente. A notte fondissima, distrutto da una sveglia improponibile o dalla stanchezza, o in pieno giorno, in orari da falesisti, dimenticando la fretta e lasciando attreversare le vecchiette che andavano al mercato senza irritarmi.
Ho scalato con milanesi, austriaci, lecchesi, bergamaschi elveticizzati, bellunesi, bresciani, aostani, torinesi, camuni, mantovani, e ancora milanesi.
Ho arrampicato su calcare unto e bisunto, e su calcare super abrasivo. Su calcare generoso di buchi e tacche come su un calcare avaro di appigli. ma anche su gneiss indecifrabile e su granito dalle fessure perfette e dai movimenti intricati.
Ho salito tiri tecnici e delicati ma anche tiri alpinistici e super ravanosi. Su solidi spit come su ottimi chiodi degli anni 30.
ho apprezzato gli avvicinamenti da 3 minuti ma anche quelli da 3 ore.
Ho assaporato il piacere impareggiabile di essere solo su una grande parete, come anche i vantaggi di scalare in una falesia super affollata dove incontri amici da casa e la gente ti fa un sacco di foto.

Insomma, una boccata d’aria, che mi ha dato delle belle soddisfazioni, di carattere molto diverso tra loro:

ho provato per la prima volta la sensazione piacevole, quel flebile piacere da falesisti, di chiudere un tiro lavorato: ho vinto la mia reticenza sul tornare su una stessa linea lo stesso giorno. E la cosa più strana, a riguardo, è che mi ha convinto a questo un dolomitista doc, e questo mi fa strano assai, essere avviato al gioco del falesismo da un forte alpinista e ravanatore. Chi l’avrebbe mai detto!

il gianola sui primi tiri della oppio

Ho anche però provato di nuovo, dopo alcuni mesi di astinenza il piacere di stare in parete, appeso in sosta a degli ottimi chiodi piantati da un grande degli anni ’30 come nino oppio, su una parete che per me iniziava a diventare tabù (dopo un tentativo fallito per essere arrivato al parcheggio in infradito senza scarpe d’avvicinamento, e uno per nevicata notturna non prevista dai metereologi). Ho riesumato in me quel sentimento di piacere dato dall’essere lassù da soli, a qualche ora a piedi dalla civiltà: io e il mitico gianola, puntolini dispersi che salivano senza fretta alla ricerca del prossimo chiodo, senza anima viva in giro. È bello a volte girare d’inverno!
ho riassaporato quel senso di smarrimento che ti danno l’incognita della discesa e dell’oscurità che incombe; e la necessità di agire, di reagire che ti nasce in queste situazioni.

Ho incontrato persone tra loro assai diverse che vivono la montagna in maniera spesso antipodica, ma che alla fine sono, come te, indissolubilmente legati ad essa. Persone che hanno vite totalemnte differenti, e impegni differenti, e obbiettivi differenti, nella vita e nell’attività alpinistica. Ma con tutti i quali riesci a condividere un po’ di te stesso, riesci a condividere un qualcosa.
Persone sempre disposte a regalarti qualcosina, un po’ del loro tempo, della loro ospitalità, della loro esperienza, o magari del loro materiale.

Insomma ho vissuto un po’ di montagna. E questo mi ha ricordato che la montagna non è solo fatta dalle fredde rupi, ma anche da tutto ciò che le gira intorno: dai falesisti che magnesano le prese, ai pirli che tuonanno meno degli spritz, ai discorsi futuribili sui progetti estivi che immancabilmente trapelano tornando giù da una bella salita.

Qua sotto qualche foto (cliccate su una che vi riporta a una fotogallery esterna che è l’unico modo che sono riuscito a elaborare per uploadare foto sul mio povero portatile) e un grazie a tutti per il buontempo passato insieme.

via oppio sasso cavallo






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