Torino, domenica pomeriggio. h.17,07
Sala studio Opera.
vogliate perdonare la confusione che c’è nella mia testa e mi porta a scriver con tanta sconclusionatezza. la contestualizzazione nello spazio e nel tempo vuole essere nient’altro che un vano tentativo di giustificarla.
Astinenza.
la definirei, a braccio, come una situazione di struggente desiderio fisico-mentale di compiere un’azione, congiunta con l’ impossibilità pratica contingente di soddisfarlo.
Astinenza è un concetto che spiegherei raccontando di come ci si senta certe volte in certe situazioni, come la mia in questo esatto momento: abbagliato da luci artificiali, avvolto dall’abbraccio oppressivo umido e soffocante dell’aria viziata e straviziata di una delle uniche due aule studio del centro aperte la domenica pomeriggio a guardare nel vuoto. distrutto dal sonno mischiato con la stanchezza e sheckerato con la noia mortale; noia causata dallo studio di nozioni trite e ritrite, ma mai abbastanza, per dei professori vecchio stampo che si fanno sostenitori di un sapere fondato su nient’altro che la difficoltà di passare l’esame. E proprio in questo vuoto, che guardi-non guardi, il tuo desiderio animale si materializza: di colpo realizzi che ti sei astratto da quella realtà e stai vivendo un altro momento, una sorta di sogno ad occhi aperti. Non è un sogno felice: in questo vuoto vedo una fessurina sporca e irregolare. Vedo una mano, una mia mano, che cerca di infilarci un nut, che non ne vuol sapere di stare in maniera decente. e allora la tua mano fruga, pulisce, mentre l’altra soffre, pochi centimetri più su, cercando di sentire l’incastro, sacrificando qualche cm2 di epidermide. l’occhio cade anche più giù, sul piede sinistro che è su una viscida tacchettina. e la mano che stringe più forte per tenere l’incastro.
Ecco, l’astinenza è il piacere che provi mentre qualche angolo del tuo inconscio rievoca improvvisamente quel dolore.
Forse vorrei soffrire. Il freddo delle soste. Il caldo degli avvicinamenti. I crampi ai polpacci. Tutta quella merda, mi manca da fare schifo. Il vuoto sotto il culo.
E poi il silenzio. Intorno a me, in questo momento, un silenzio falso, opprimente, roboante. Imposto da dei cartelli che intimano di tenere basso il suono della voce. Imposto da un senso di fratellanza che è mirabile condivisione di una situazione di disagio. Un silenzio che nulla ha a che fare col silenzio dei canaloni, col frullare del vento tra le quinte fredde dalla notte mentre la mattina arranchi sul ghiaione. Col silenzioso boato delle scariche che ti spingono ad affrettarti.
Qua il tempo non passa mai. Puoi restarci ore in questa cazzo di stanza. Il tempo è scandito dalla batteria del mio portatile che è sempre scarica e le prese di corrente sono tutte immancabilemnte occupate. E fuori chi lo sa cosa succede. Tanto non c’è il buio che arriva alle spalle. Non c’è il bivacco che incombe, ne le doppie da trovare. Non ci sono scadenze particolari. E così tutto perde un po’ di senso.
E perdi anche la fame. O meglio, forse, il piacere di soddisfarla. perchè uno esce di qui a un orario non definito, se ne va a casa e puntualmente la prima destinazione è il frigo. E se è vuoto si può sempre dirottare su un kebbabbaro. Altro che le barrette e la fame e un’arancia. e la sete. Soprattutto la sete. perchè bisogna sempre essere leggeri.
Riassorbendo questa sorta di visione, incrocio con lo sguardo mille volti. Ma nessuno mi dice nulla. Facce spente, come probabilente la mia, in questo momento. Nessuno vede nei miei occhi quest’immagine che si è evocata. Nessuno mi può aiutare a sistemare il mio cazzo di dado. È il 7, il grigio della kong e non c’è neinte da fare, non sta. Torno nel presente ma la mia testa continua per inerzia e sento nascere nella mia testa il pensiero che mi verrebbe in quella situazione: “merda! niente nut! devo continuare a salire! Ma si dai cazzo! qualche metro più su ci sarà sicuro qualcosa da cacciar dentro! Fanculo la fessurina e pedalare!”. Ma non è un pensare accompagnato dal battito del cuore, perchè quello è smorzato dal brusco mattone del risveglio repentino. La mente è confusa. vorrei poter essere li è iniziare all’altro tipo di logica prosecutio che capita in questi casi: “che altre armi ho a disposizione? microfriend? chiodi? riesco a chiodare? altre fessure?” d’altro canto, invece, la pacatezza della situazione reale. la ragione incespica, le emozioni si mescolano.
Astinenza, per me oggi, è gustarmi il piacere amaro della consapevolezza che ancora una volta mi ero perso, lasciato andare, trascinare via da questa stanza, senza accorgermene.
Trascinato in una situazione dannatamente scomoda, ma assai più allettante.
Trascinato da quell’incoscio che sempre riesce a capirmi meglio di quanto io non sappia fare. Che riesce a leggermi nel profondo. Che distrugge tutti i castelli di carta che costruisco per sedare il desiderio. Quell’incoscio che io immagino essere un simpatico signore seduto al tavolino di un un bar in qualche antro della mia testa, a leggere un giornale sul quale sono riportate minuziosamente tutte le mie voglie e i miei desideri. E che a volte ne legge qualcuno a voce alta, distraendomi da quello che sto facendo. Alimentando così la mia voglia di andare. Continuando a tenere vivo il fuoco che ogni volta mi spinge a prendere treni e pullman e sentieri, per tornare a perdermi nell’immensità di qualche angolo perduto, dove ancora regni la pace che mi consenta di assaporare la solitudine. E perdermi a contemplare la mia piccolezza. Anniettarmi nel grande silenzio.