hungary meets kamunia

Appunti sparsi, impressioni volutamente scronologiche di un viaggio con una meta.

intro.
Ho viaggiato per circa 10 giorni, in zona balcani-est europa, con le stampelle e una caviglia che non si capisce bene cosa abbia. Non pare rotta, ma sicuramente neanche sana. Ho viaggiato coi mezzi pubblici, ho partecipato a feste e girato città: ho potuto immedesimarmi e capire le difficolà quotidiane di chi ha problemi di mobilità. È stato interessante e a volte difficile.

partiti.
Mi sveglio in un bagno di sudore. Mezzo fuori dal sacco a pelo piu leggero che ho. Su una panchina in un boschetto a bordostrada nel bel mezzo della campagna trevisana, con le sue zanzare e la sua umidità. Oggi è il primo giorno di viaggio. Che bello questo sapore di randagio. Mi avvio alla macchina, senza svegliare gli altri, tiro fuori il fornello e metto su il tè. E ammiro la scena: finalmente di nuovo on the go.

scivoloni.
Croazia, istria. Neanche troppo istria, cioè, istria da qualche centinaio di metri. Siamo a fiume, rejika, e ci stiamo sparando l’ultimo mega bagno prima di avventurarci nelle pianure dell’est, dove pensavamo ci sarebbe stato ben poco da fare bagni. (invece faremo poi bagni nel lago balaton e pure nel danubio!!)
c’è una spiaggia di ciottoli, gremita, appena fuori dalla città. È pieno di gente, sono le 17, fa un caldo infernale. Optiamo per degli scoglietti li vicino un po’ meno frequentati. Ci sistemiamo e vediamo questo mega scivolo. Sarà alto alcuni metri, è una costruzione in metallo, abbastanza artiganale, ancorata agli scogli e arriva dritto nel mare. È li, aspetta solo di essere provato e noi non aspettavamo altro. Incerti saliamo in cima, preoccupati dalla temperatura di questo affare di acciaio sotto il sole da ore. Con nostra sorpresa, invece, c’è addirittura un sistema idraulico che pompa su l’acqua e che, premendo un’interrutore, bagna il fondo dello scivolo. E allora via a giocare come dei bambini al parco giochi!!
ora mi dico: in italia, ci sarebbero stati 13 bagnini per una struttura del genere. Inoltre sicuro non sarebbe stata omologata. E soprattutto non sarebbe mai e poi mai stata gratuita!!! e invece era li, a disposizione di tutti, super funzionale. Ci alternavamo noi e dei ragazzetti del posto veramente folli che si tuffavanno di pancia in salto, forti dell’incoscienza dei loro 14 anni. E andava benissimo così, ci gestivamo, salivamo a turni, un po’ a testa, ognuno faceva quello che voleva senza bisogno di regole di permessi di scontrini di bagnini eccetera. A volte basta davvero poco.

occhi di bosco.
Stazione di symontornia, ore 13 circa. Caldo torrido, le poche persone si rifugiano all’ombra di qualche sporadico albero. Sembra una cartolina, quelle cartoline tipiche dell’est, delle stazioni della transiberiana. Qualche auto scassata, qualcuna piu moderna e un autobus blu. a completare il quadro degli anziani discutono seduti contro un muro, nella loro lingua incomprensibile. Un tassista autoctono, sdentato, cerca in tutti i modi, pur senza spiccicare una parola di inglese, di rifilarci un passaggio per soli 130 euro: per fare la tratta che il treno fa con 5. ha una moglie che sorride in silenzio e osserva seduta li vicino, e due figli: uno, piu piccolo, gioca nel cortile della stazione; la figlia invece è più grande, avrà all’incirca 18 anni, ed è una ragazza meravigliosa, di una bellezza davvero fuori dal comune, fatta di una semplicità disarmante. È tramite lei che il padre cerca di comunicare con noi, coi turisti, e lei fa del suo meglio, nel suo inglese ostentato e semplice, Consapevole che non riuscirà mai a convincerci perchè la proposta che ci fa è assurda, tuttavia obbedisce al volere del padre. Lo fa gioiosamene, mostrando un sorriso esemplare, di quelli che non dimentichi facilmente. Ci avviamo nella stazione e compriamo a gesti dei biglietti da un’impiegata che non conosce l’esistenza dell’inglese: sicuramente per lei questa settimana di ozora, e quindi di turisti non ungheresi, è il periodo peggiore della sua esistenza. E poi arriva sbuffando il treno, che all’esterno sembra pittoresco ma dentro è abbastanza moderno. saliamo e mentre il treno riparte, dal finestrine rivedo quella ragazza intenta a contrattare con altra gente. Peccato non averle fatto una foto. Perchè saranno proprio i suoi occhi blu oceano l’immagine che mi resterà più impressa dell’ungheria.

orari low cost.(o albe meccaniche [cit.])
Ho preso un aereo (budapest-malpensa) alle 6.00 di stamattina. Per prenderlo coi mezzi pubblici non ho dormito, ho passato la notte stampellando in giro per budapest e aspettando su panchine male illuminate shuttle bus prenotati via internet. Alla fine ce l’ho fatta. era l’alba e ci imbarcavamo. E nessuno sembrava minimamente scosso. Possibile? Io non ci credo che tutti costoro fanno i muratori e son sempre svegli dalle 4 e vedono l’alba tutte le mattine. Non ci credo. E sono triste al pensiero che nessuno mostrasse il beanchè minimo interesse in questo spettacolo meraviglioso che tutte le mattine si ripropone ma che resta sempre una magia. Sono stato l’unico, (eccetto forse una coppia di giapponesi che avevano in mano la fotocamera ma non credo facciano testo.. ahah!) a fare una foto alla scena. E a sorridere di fronte a tanta bellezza, allo spettacolo del sole che nasce. (spettacolo che muore nella qualità della foto del mio telefono, peace!)

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feste musicali.
h18.15, palco opt bank: Concerto della pegatina. Mi siedo in cima al prato, mi metto comodo, ignoro le formiche e le zanzare e me lo guardo da questa posizione, non privilegiata, ma comunque comoda. È curioso guardare un concerto da questa prospettiva! Non sono abituato. Vedi tutta questa gente, ammassata, carica, che salta canta rimbalza urla e rotola. Ce n’è di tutti i tipi, dalla gente che se ne sta un po’ dietro e balla senza freni facendo capriole e salti e giravolte, alla gene che è in prima fila e canta fino a esaurire il fiato; alla gente che è nel pogo e non si stanca mai; a quelli che si godono il concerto comodamente seduti nel prato, a quelli che lo guardano con una birra in mano e muovendo a ritmo la testa. Questo concerto è particolarmente bello per l’energia che c’è nell’aria. Per l’allegria che scuote ogni cosa, ogni filo d’erba, ogni persona, ogni nuvola di passaggio. È una festa, una festa gigante, cui tutti devono partecipare.

hungarian taxi drivers.
Trasporto pubblico ungherese: cose strane. Puntuali e frequenti corse notturne per il tram che dalla periferia porta verso il centro. E poi, in centro, piu nulla. Stazioni isolate, nessuna linea collega il centro con le stazioni con la navetta dell’aeroporto. E poi migliaia di taxi: di notte, 9 auto su 10 sono taxi. Lobbie? O solo disorganizzazione? Non lo so. Ma so che ho dovuto fare quasi 3km in stampelle alle 4 di notte e mi fanno ancora male i polsi.

l’o.z.o.r.a.
ozora festival. Un must per i festaioli di tutta europa. Un qualcosa di gigante, una settimana di festa totale, immersi nelle ondulazioni della verde pianura ungherese (ossimoro ndr ahah!). All’arrivo strani alberi addobbati da folletti ti accolgono e accompagnano al tendone dove c’è la cassa. Un sacco di gente si arrabatta per racimolare i soldi del biglietto, che non te lo regalano assolutamente! (120 euri!). Noi non entriamo, siamo solo di passaggio, mentre patrick e il luzzi si fermeranno qua. Restiamo quindi fuori nel prato a socializzare con tutta questa gente che arriva di continuo nei modi piu strani: chi in autostop, chi su furgoni autocostruiti, chi in taxi. È un’atmosfera spettacolare perchè tutti condividono la gioia di un sogna che si sta realizzando. Un sogno coltivato nelle lunghe sere d’inverno in città, a guardare i video del festival dell’anno scorso e a giurare che quest’anno ci andremo anche noi. Cosa che poi la gran parte delle volte non si realizza. Ma stavolta sei li, tu e gli altri. Pronti a vivere una settimana in quell’angolo di paradiso. Tutti sorridono, tutti sono allegri: la musica, le storie, la condivisione, le culture diverse e la fratellanza.

stile alpino.
Arriviamo a budapest, siamo in 3, con 3 zaini, e alcune borse, tra cui una che contiene l’hang, strumento molto voluminoso e delicato e pesante. Dobbiamo cercare un ostello, non abbiamo idea. Io sono in stampelle. Giriamo un po’, siamo davvero troppo lenti e impacciati: “siamo degli elefanti”, dice bene il beri. Allora optiamo per una strategia: io me ne resterò su una panchina a leggere, e custodisco tutta la roba, loro leggeri potranno andare a cercare un hostello. Una volta trovato potremo andare diretti là senza fare strada inutile. Ho visto in questa strategia l’essenza dello stile alpino: potare tutto al campo base ma poi andare via leggeri, veloci, senza lasciare traccia, solo una linea, una direzione. In viaggio, come in montagna, spesso avere una strategia è fondamentale.

scorciatoie.
Malpensa. Ore 7.50. devo andare a casa in treno, ma il mxp express costa des euro solo fino in centrale. Lo so e voglio evitare. Devo ricorrere al solito giochetto, scendo a busto prendo il pioltello e poi da là il bg. Ma c’è un problema. Il malp express ha cambiato strategia, ora ferma solo in bovisa e a garibaldi. Maledetti. Chiedo in biglietteria e il tipo capisce il gioco che voglio fare, ma è un gioco lecito, non può dire nulla. anzi pare in un certo senso contento di avere a che fare con qualcuno che non si rassegna a sganciare il cash, che preferisce fare giri assurdi pur di risparmiare qualche centesimo. vedo che è consapevole dell’assurdità di quei dieci euro, cifra decisa da qualcuno che sicuramente non ha mai a che fare con la clientela, e che sicuro deve avere una coscienza lurida. Mi consiglia di prendere un bus fino a busto fn. Mi vende il biglietto, che costa 3 euro per due fermate, va beh. Insomma ho risparmiato i miei 5 euro. Esco ed aspetto questo bus per un oretta e mezza. Il bus non esiste. mi sento quindi autorizzato a scendere e prendere il mxp express e cambiare in centrale, enza cambiare biglietto. Lo spiego alla controllora e dice che è ok. anche stavolta ho superato il livello. ma come in ogni gioco che si rispetti in ogni livello successivo aumenta la difficoltà: la differenza sta nel fatto che qua la soluzione te la devi inventare e non sempre sei sicuro di trovarla. o magari la trovi ma devi sacrificare qualcosa: in questo caso tempo in cambio di denaro. Ma di tempo con questa caviglia ne ho fin’a mai. E mi godo questi attimi di attesa, assaporando le goccioline di pioggia che scendono sul mio volto mentre aspetto l’ennesimo bus che mi porta verso casa.

balaton lake.
Abbiamo maledettamente caldo, anche se grazie a dio questo magnifico furgone ha l’aria condizionata. Viaggiamo ormai da qualche ora sull’autostrada e il paesaggio è sempre uguale: a campi di girasole si alternano campi di mais. Sulla cartina segna questo grande lago, il lago di balaton, che sembra bello grande (è quasi 10 volte il lago d’iseo!), si potrà fare un bagno in questo lago?! Bo! Proviamo ad andare a vedere. Così ci ritroviamo in una piccola rimini ungherese. Centinaia di bagnanti affollano il prato antistante il lago, venditori ambulanti battono la riva, addirittura aeroplani passano con le pubblicità attaccate al seguito. c’è un sacco di gente che cammina nell’acqua: ma allora non è molto fondo!? Ci avvenuriamo per scoprire, all’inizio un po’ straniti, un fondo melmoso e l’acqua bassa, che resta bassa per decine e decine di metri, arrivando ad alzarsi gradualmente fino a raggiungere i due metri circa a distanza di quasi mezzo chilometro dalla riva. peccato che l’acqua sia così assai calda e quindi poco rinfrescante. Va beh, comunque un bagno ci stava.

e-pic-nic.
Viaggiamo su questa statale molto bella che attraversa queste boscosissime vallate istriane, col nostro mitico furgne, gentilmente offerto dalla famiglia luzzi. (per una volta il fiestino sta a casa :D)
dobbiamo mangiare e siamo occhi aperti alla ricerca di un posto dove fermarci a spadellare. La strada salesalesale e finalmente, fatto un passo, inizia a scendere: di la si vede il mare, la costa croata e le sue isolette. Troviamo un posto perfetto nel punto piu panoramico: c’è una piazzola con un tavolo, una fontanella e l’ombra di un grande faggio: posto super tranquillo a parte dei simpatici muratori che sistemano un tetto e martellano in continuazione. E cucinando di fronte a questo belvedere scopriamo una cosa davvero inaspettata: c’è il wifi gratis statale. Capito? Siamo a mille metri, su una stradina sconosciuta che abbiam preso per non pagare l’autostrada. Disteremo almeno una decina di chilometri dal primo centro abitato, siamo in mezzo a un bosco, c’è solo un ristorante nella zona, insomma, posto meno civilizzato non si può e c’è il wifi gratis e funziona alla grande. Pazzesco, secondo me. Cinque anni fa il wi-fi a malapena l’avevano inventato. I telefoni non sapevano neanche cosa fosse. Tutt’oggi nelle principali città italiane c’è qualche abbozzo di free wifi, in un paio di posti iperfrequentati. E solitamente non è che una mossa mediatica e non funziona mai, o va lentissimo. Li, invece, in una sperduta piazzuola-con-tavolo-di-legnomarcio in croazia c’era uan connessione funzionale e spedita e gratuita. Il progresso ha anche i suoi vantaggi. [Non fosse che subito tutti di fiondarono su fb mentre io e il beri pelavam patate! (ahaha!!)]

mosquitos.
Le zanzare. Mai viste tante zanzare come fuori dall’ozora. Aspettavamo pat e luz che erano entrati a montare la tenda. Ero li in pantaloncini corti. Nient’altro. Scende la sera e miriadi e miriadi di zanzare ci assalgono. Di solito scappi, ti rifugi da qualche parte. Qua no, non c’è assolutamente niente. Siamo sperduti nel nulla della campagna ungherese, l’auto l’hanno gli altri, non ho dove ripararmi. Una mezzora d’inferno, con centinaia di insetti che mi succhiavano il sangue in ogni parte del corpo. Quando dopo un’ora circa son tornati gli altri, scarpe, felpa e pantaloni lunghi, nonostante i 30 e passa gradi della sera. Mai vista una roba simile. Poi però, durante il giorno e la notte niente, pace totale. A sovere invece abbiamo le zanzare della sera, quelle della notte e quelle tigri, di giorno. Sono meno ma sono sempre. Forse meglio la mezzora di inferno se hai di cui proteggerti.

transilvania station.
Da fiume verso zagabria. Prendi l’autostrada e poi a un certo punto c’è una galleria. Sbuchi di là e di colpo tutto è cambiato. È una cambiamento radicale e improvviso, inaspettato. prima tutto boscoso, bosco basso ma più alto della macchia, bosco fitto e disordinato, che copre tutto come un mantello, giù, fino al mare. Di qua, invece, inizia il continente e la flora continentale. E a pochi chilometri dal mare compaiono boschi di conifere che regalano scorci transilvanici. Non l’avrei mai detto. E cambia anche l’architettura: iniziano i tetti a punta in stile nordico, i paesini piccoli con le case separate e colorate e simili tra loro. Cambia la natura e con se cambia anche l’attività dell’uomo.

idrocrisie.
Fare il bagno nel danubio è vietato, oltre che realmente pericoloso. Così recitava il sito ufficiale dello sziget. E vuoi che sono italiano vuoi che sono malpensante, in quell”oltre” e nella formulazione di questa frase, già avevo capito che il bagno nel danubio si faceva, eccome. E infatti sulla cartina ufficiale c’è disegnata addirittura la spiaggia con gli ombrelloni e nella realtà dei fatti ci sono decine se non centinaia di persone che fanno beatamente il bagno nel fiume. Ma c’è di più. Si vede chiaramente che sono state appositamente portare camionate di sabbia (conchiglie!!) e ciottoli per creare una spiaggia artificiale, e inoltre la zona balneabile è ben delimitata con boe e due imbarcazioni della guardia costiera (o chi per essi) vigilano attentamente i bagnanti. Eppure sugli alberi intorno campeggiano questi cartelli giganti: divieto assoluto di balneazione eccetera eccetera. Questa ipocrisia da scrico di responsibilità mi irrita assai. Perchè ti mette sempre e comunque contro la legge. In italia questo modo di fare è prassi e nel lago d’iseo succede esattamente la stessa cosa che nel danubio, ad esempio a lovere. e finchè c’è tutta la folla a fare il bagno è easy. Ma il giorno che sarò solo io a fare il bagno e venissero a farmi storie non potrò tutelarmi. non potrò dire l’han sempre fatto tutti. potrò dirlo e nessuno mi crederà. basterebbe scrivere: “gli organizzatori declinano la responsabilità…” e bona, non divieto assoluto. invece no, è sul cittadino che devono sempre cadere le colpe di qualsivoglia cosa accada. e allora: Le regole divieti, i divieti e le regole e i divieti.

solitudini.(o instrospezioni.)
Sono seduto in un prato a guardare un tizio che canta, che non conosco e neanche mi interessa particolarmente. Seduto, devo guardare il concerto da seduto, purtroppo. Sono un puntolino in un mare di folla. Migliaia e migliaia di persone intorno a me. Tutti a me sconosciuti, vengono da ogni dove, da ogni angolo d’europa. Sono io, coi miei pensieri e intorno a me una marea di gente che guarda il concerto, indifferente alla mia presenza. Mi viene in mente una scena, di me infilato in una fessura (forse il camino di shampoo) che lotto e striscio e salgo piano, e cerco di proteggermi: sono vivo, sono attivo, sto dando il massimo, sono felice. Siamo solo io e il mio compagno, forse gli unici nel raggio di chilometri. Non siamo altro che due puntolini di fronte all’immensità della natura: che forse, come questi intorno a me, è indifferente alla nostra presenza, o forse, invece, fa il tifo perchè riusciamo ad arrivare in cima, e ci fa sentire a casa nonostante la nostra piccolezza. Insomma, poco importa che non ci sia nessuno in giro, la solitudine è un’altra cosa, è una cosa più da concerto.

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