all’inizio era un critico giovedì come tanti altri. perche sono sempre critici i giovedì: forse perchè vengono dopo il mercoledì, e il mercoledì sera sei quasi sempre in giro; forse perchè il tuo inconscio sa che la mattina hai solo un ora e mezza di lezione, alle 8 e mezza. e se salti la prima ora puoi dormire fino a mezzogiorno. ma ormai ti sei alzato e sei andato. e se da un lato sei contento del te stesso ligio al dovere, dall’altra sei rincoglionito come pochi. è un giovedì critico e per non addormentarti fissando un tizio che scrive e cancella la lavagna alla velocità supersonica, tra una tensione di trazione e un’equazione di equilibrio addocchi i messaggi del maledetto faccialibro. e tra tante cose inutili poche righe ti cambiano la giornata! poche righe che parlano di sassi cavalli e di soli nel cielo. parlano di cose belle, come le fiabe per bambini. che sono popolate di esseri e creature magiche e inesistenti, come il sole in questo periodo. e sono ambientate in posti lontani e misteriosi, come il sasso cavallo. e quel critico giovedì inizia a prendere un’altra piega.
la mia attenzione inizia a sublimare. e la mia mente inzia a galoppare. 1-devo decidere. provo a mettere sul piatto i pro e i contro. inutile, so benissimo che ho gia deciso. 2-devo organizzarmi. devo in meno di dieci ore essere a lecco. è veramente un casino. sono a torino, ho giusto qualche vestito e i rimasugli dell’attrezzatura che ho portato su da finale lo scorso week end. un disastro. ho ancora 4 ore di lezione di macchine elettriche, poi devo volare a casa, prendere tutto quello che ho e saltare su un treno.
è esattamente quello che faccio. così, qualche ora dopo sono in stazione a lecco. uno zainetto, scarpe da skate, una pefetta divisa universitaria. non si direbbe che stia andando in montagna dal mio look.
ma mi si legge negli occhi, da un miglio di distanza.
ci sono diverse fasi nella parte critica di una ravanata non programmata. tutte sostanziali, ma di diversa durata. all’inizio c’è il momento pazienza. proprio all’inizio. dura talmente poco in certe situazioni che direi che è tranquillamente trascurabile rispetto al tempo. ma non è rtrascurambile rispetto al morale. perchè la pazienza è fondamentale. e chapeau a chi ne ha. perchè come fai a essere paziente in certe condizioni?
poi iniziano gli scongiuri. dapprima silenziosi. sottovoce, parli con te stesso, cerchi qualcuno su cui scaricare la colpa. qualcuno con cui incazzarti. con cui incazzarti sottovoce, intimamente, che fa ancora piu male. ma non ci riesci. e pian piano inizi a urlare. urlare, a ogni passo falso. a ogni mano nella neve. a ogni strada sbagliata. a ogni fiocco di neve nell’occhio. urlare. contro chi poi? contro un dio che non conosci e non trovi e sai solo insultare e criticare? poi qualche attacco di inutile razionalità mi dice: ma se sono io il cretino che ha scelto di venire a ficcarsi in questa merda di situazione?! che tra tre ore sarà magari diventata una bella avventura; forse un po’ extreme, ma sempre un’avventura. ma che adesso è una merda!? con chi voglio incazzarmi se non con me stesso? ma non ascolti quella voce e continui, passo dopo passo, su questo maledetto prato a 50 ricoperto da un bianco candido strato di neve fresca. e ad ogni passo, perdendo l’equilibrio, ti ricordi che in queste condizioni gli attriti tra la suola liscia delle scarpe da tennis che indosso e i freschi e copiosi ciuffi d’erba sono trascurabili. e, vi garantisco, aggrapparsi a mani nude ai ciuffi d’erba sotto la neve è un ottimo modo per ricordarsi l’importanza degli attriti. un modo che proprio te lo ricorderai per un po’. urli al vento,cercando di esternare la rabbia che provi verso te stesso per esserti ficcato in questo casino. ma con chi prendersela? con i metereologi che hanno preso una cantonata? poveracci non sono neanche loro i profeti di un dio del cielo. tirano ad indovinare e spesso sbagliano. e tu lo sapevi benissimo. ma adesso sei qua, hai voluto provarci lo stesso. e domani farai la stessa scelta. [e d’altronde magari adesso giù a mandello c’è il sole. mica c’era scritto meteo sasso cavallo sulle previsioni dei 18 siti che hai guardato ieri sera!]
poi arriva una fase che non hai neanche piu la forza di improperare. che capisci che è inutile e che sprechi fiato. che l’unica soluzione è la perseveranza. e allora continui, imperterrito, silenzioso e soprattutto determinato. scruti il suolo, alla vana ricerca di qualche traccia in questo bosco quasi verticale e tutto uguale. continui a cadere e rialzarti, ma sai che non puoi ne devi fermarti. dentro te inizi ad accettare la situazione e sai che non è adesso il momento di mollare. pensi che sei lì e che l’unica cosa da fare è agire e che in qualche modo ce la farete a uscire da questa mmerda. a costo di fare le doppie. e allora giù dritti. che appoggi il culo e vai giù come un missile. e la neve nella schiena non la senti neanche più. e gli alberi che investi non ti fanno neanche il solletico. e il bruciore della neve sulle gambe nude è ormai cosa assodata. e poi il gelo terribile alle dita nel disfare la corda e buttare la doppia.
mi calo piano, a braccia. l’imbrago è nello zaino, troppo sbattimento. mi calo piano, stringendo la corda fradicia con le mani ormai insensibili. scendo attaccato alle corde, lungo questo pezzo di bosco verticale e roccioso, senza neanche guardare dove sto andando. a due metri da terra non ce la faccio più, guardo le mani, ci penso un attimo e poi mollo. lascio la presa, mi lascio cadere, nel vuoto, verso la neve sottostante. l’atterraggio è un po’ rovinoso, ma morbido, bene così. alzo gli occhi e vedo Ste che ha raggiunto l’albero della doppia. gli cavo di bocca una conferma che sia tutto ok e mi concentro a cercare di riattivare la circolazione nella mani. lo osservo che si cala, lento ma deciso. arriva e tira giù la corda.
fa tutto meccanicamente, senza fretta, rallentati come siamo dal freddo, senza proferir parola. lui è sempre silenzioso, ma non molla un cazzo. forse raggiunge subito l’ultima fase, quella della rassegnazione alla ravanata e della perseveranza, quella della modalità: non molliamo un cazzo, determinazione a palla! quella di chi sa che l’alpinismo è sofferenza, e gli va bene così! oppure magari, semplicemente, vive dentro di se tutte le varie fasi, in silenzio, nel suo mondo?! me lo chiedo mentre lo guardo che viene verso di me e mi porge la corda da legare allo zaino.
il bosco sembra più piano ora, buon segno. tra le fronde innevate fa addirittura capolino anche un tiepido sole. “fanculo alla bufera e alla neve! adesso se riesco anche a scongelarmi i piedi siamo quasi a Cavallo! ;D” gli dico, quando finalemnte sento i capillari dilatarsi e vorrei urlare dal male. e così, discutendo di come l’humor inglese e le sue freddure a volte sciolgano anche il ghiaccio, ce ne torniamo trotterellando (fradici fino al midollo) verso la civiltà, ghignando tranquilli, neanche avessimo appena finito di scalare bellamente immersi nei tepidi raggi del sole di maggio.
scendiamo verso il lago ammirando queste valli e chiedendoci se chissà, magari anche quest’anno arriverà l’estate, prima o poi.