PAT: Pump As Turbines. una panoramica

Disclaimer: questa roba qua sotto è un esperimento. è un esperimento di scrivere un articolo scientifico divulgativo. di farlo nel mio blog, alla solita maniera. ma qua non ho esperienza, quindi andrò a braccio. non sapevo neanche io, se corredarlo di grafici e numeri e formule. se mettere quantomeno i riferimenti di letteratura, come si fa nei paper classici. ho pensato che potesse aver senso all’inziio. almeno mettere le fonti. poi però vedevo che citare fonti mi riportava allo stile classico scientifico difficile. invece volevo provare a scrivere roba semplice, leggera terra terra. come dovrebbe essere un blog. (obbiettivo che peraltro già solitamente fallisco, solo per la lunghezza dei post ahah!). che rimanesse un po’ nello stile del blog. quindi ecco, se volete approfondire, volete sapere una fonte, un riferimento, una formula con cui ho calcolato qualcosa beh, nella sezione contatti c’è la mia mail. oppure chiedetemelo pure davanti a una birra! :D enjoy!

che fine ha fatto il tappa blog? che fine ha fatto il tappa piu che altro? ahah è lassu rintanato nei meandri dei laboratori del trinity college di dublino.

visto allora che di cose montagnose da raccontare non ne ho molte, oggi cambierò tema. e scriverò due righe su quello che faccio qua a dublin. cercherò di scrivere veramente low level, un articolo per spiegare un po’ più esaustivamente ma senza entrare nel dettaglio, quello che solitamente cerco di liquidare in un paio di frasi per non entrare in inutili sproloqui super noiosi. se qualcuno di voi fosse interessato ad indagare cosaci sia dietro tutto ciò, ma avesse giustamente paura di sfondare una porta aperta chiedendomi al riguardo la sera davanti a una birra, temendo a ragione che potrei iniziare a parlare troppo, beh, eccolo servito. qua sotto potrebbe esserci una risposta alla vostra curiosità.

l’articolo sarà volutamente semplificato e generico, non entrando per forza nel dettaglio di quello che faccio io, quanto piuttosto cercando di raccontare come cosa quando e dove, ma soprattutto perchè ha senso parlare e studiare le PAT. questo in maniera che anche altri peregrini del web potenzialemnte interessati in questa tecnologia possano scoprire qualcosa e trovare un riferimento, per una volta, non tecnico. (letteratura scientifica sul tema ve n’è parecchia, divulgativo molto meno)

PAT: Pump As Turbines

cosa.

innanzitutto cosa sono ste PAT? l’acronimo sta per Pump As Turbines. Pompe come turbine. sono delle pompe. ossia dei pezzi di ferro che convertono energia meccanica: prendono l’energià cinetica da una parte (es: il moto rotatorio di un albero) e la trasferiscono da un’altra (es il moto di un fluido). questo processo è reversibile: posso avere l’una o l’altra e ottenere il suo complemento. la pompa è mossa da un motore elettrico che converte enrgia elettrica in energia meccanica o viceversa. quindi il blocco pompa + motore è interamente reversibile. se trasformiamo elettricità in un moto di un fluido abbiamo pompa e motore, se viceversa avremo turbina e generatore. i due componenti cambiano nome, ma restano fisicamente gli stessi!
in generale non è così, e si disegnano turbine apposta e pompe apposta per fare una specifica conversione. idem per i generatori. ma le PAT sono scelta apposta tra le varie pompe di modo che possano funzioanre in entrambe le direzioni. poi, noi qua, le usiamo come turbine, pechè in generale ci interessa studiarne queta applicazione, sulla quale non c’è molta letteratura, mentre ci sono delle possibili e interessanti applicazioni pratiche che vedremo. ma il sistema funziona perfettamente anche per pompare! ecco il nome, pompe come turbine! semplicemente il fluido (acqua di solito) andrà in su se pompiamo o in giù se generiamo.

a pump as a pump

a pump as a turbine

come.

come faccio a far generare una pompa? semplicemente inverto il flusso, o, a seconda di come vogliamo vedere la faccenda, la giro al contrario. in sostanza si può immaginare la cosa a livello di paletta: l’albero spinge l’acqua da un lato. ma l’acqua vorrebbe andare dall’altro. come a braccio di ferro. se vince l’acqua, allora staremo generando, altrimenti pompando. quindi se ho un tot di metri di salto, una pompa grande potrebbe pompare, una piu piccola non ce la fa e diventa un generatore.
Ecco che le dimensioni contano e il fatto che la pat sia piccola è ovviamente relativo. tuttavia quella della “piccolezza” è una caratteristica abbastanza peculiare di questi impianti: l’efficienza è infatti limitata, essendo la macchina costruita per un altro scopo (pompare), quindi quando si ingrandiscono le dimensioni, aumentano in generale le potenze e i costi, e allora forse val la pena comprare una vera e propria turbina! fatta apposta per lo scopo, garantisce efficienze più alte per un range di portate maggiore! ma ovviamente costa molto più cara.

perchè.

perchè farlo? o meglio, perchè nessuno mai l’aveva fatto prima?
ci sono esempi di pat fin dagli anni ’70. ma non si sono mai diffuse. nessun complotto in generale, o meglio, la causa risiede nel sistema stesso: l’energia costava poco, la sensibilità verso il recupero e il risparmio era poca ed era molto piu semplice e conveniente comprare enrgia dalla rete. c’era l’Enel, o chi per essa all’estero, che vendeva a prezzi fissi e bassi e bruciava carbone e olio combustibile nelle sue centrali, oltre che sfruttare le grandi centrali idroelettriche alpine. il petrolio faceva girare l’economia. e allora perchè sbattersi a produrre pochi kWh con un nuovo impianto, quando li posso comprare per pochi cents? Pochi, già!: come abbiamo visto prima, si parla di impianti di piccola taglia. e allora negli anni ’80, in situazioni rurali dove generalemnte non arrivavano le reti di distribuzione la filosofia do it yourself era obbligata e nascevano le prime pat.
poi arriva l’elettronica di potenza, o meglio arriva a essere il nostro pane quotidiano. senza entrare nei dettagli, gestire la macchina con l’elettronica di potenza (inverter e compagnia bella) ci permette di ottenere efficienze accettabili per un range di portate differenti (prima le regolazioni erano manuali e solo idrauliche). per quanto senza arrivare a diventare competitive in termini di prestazioni con le turbine, comunque ci si avvicina. non solo, si riesce però a diventare poco a poco competitivi sul piano economico, grazie al ridotto costo della macchina! grazie ai numeri di un mercato in scala molto più vasto, a parità di potenza una pompa costa decisamente meno di una turbina (indicativamente fino nell’ordine di 1 a 5/ 1 a 10!).

dove.

dove ha senso mettere una turbina? le applicazioni principali della pat sono 2: come valvole di riduzione di pressione (PRV, pressure reducing valves) o in picoidroelettrico.

PRV: questa applicazione riguarda potenzialemnte qualsiasi sistema in pressione: il tipico esempio sono gli acquedotti: sistemi di distribuzione dell’acqua sono sempre in pressione per fare in modo che l’acqua arrivi a tutti. questa pressione deve rimanere tra dei determinati valori: deve essere sufficientemente alta, se no negli edifici alti non arriva l’acqua agli ultimi piani, ma al contempo non deve essere troppo alta: aumentano le perdite e potrebbero esserci problemi di operabilità: dall’inadeguatezza della rete a possibile disagio per l’utenza (immaginate di aprire il lavandino e questo spara come un idrante). allora questa pressione va regolata. per il principio dei vasi comunicanti in generale un acquedotto pressurrizzato a gravità sarà alla pressione del suo bacino di carico: in un posto rialzato c’è un bacino che è a pelo libero: quello è il riferimento per tutto l’acuqedotto. il resto dell’acquedotto è come fosse sott’acqua: la pressione aumenterà a seconda del dislivello tra quel bacino e il rubinetto che stiamo aprendo. (quindi se un palazzo è piu alto del bacino non arriva l’acqua ai piani superiori a quell’altezza!). la pressione si misura in metri: se ho 10 metri (circa 1bar), vuol dire che quello è il dislivello tra casa mia (punto di misurazione) e il bacino.
veniamo ora alle pat: ci sono situazioni in cui la presione va appunto ridotta. ad esempio se il bacino è molto in alto rispetto al paese/città: se ho 100 metri, e devo distribuirne 10, posso turbinarne 90! sono metri che altrimenti farebbero sparare il vostro rubinetto e quindi vanno ridotti, ma sono preziona energia!
ad oggi questa energia spesso verrebbe dissipata con una PRV, (oppure con un bacino a pelo libero più in basso), in entrambi i casi è energia sprecata! ecco che allora ha senso mettere una pat per ottenere lo stesso risultato positivo di regolare la pressione dell’acquedotto e al contempo generare corrente.

l’altra applicazione possibile è quella del picoidroelettrico. l’idroelettrico in italia è stato ampiamente sfruttato a partire dagli anni ’20 e ormai tutte le vallate alpine sono costellate di dighe e traforate dai cunicoli che collegano i vari bacini per ottimizzare la produzione di energia elettrica. la tecnologia del grande idroelettrico è quindi assai sviluppata e conosciuta e possiamo dire che non vi sono quindi ormai possibilità di espansione. rimangono i piccoli ruscelli di montagna che però hanno solitamente piccole portate e grande altalenanza stagionale e decidere di sfruttarli al fine della produzione in ottica di rete di solito non ha troppo senso. o meglio, spesso il gioco non vale la candela: un nuovo impianto ha infatti sempre un impatto ecologico e, specie per piccoli impianti, si rischia un impatto notevole per avere pochi Kw(kWh).*[nota 1 fondo pagina]
se in ottica di generazione di base quindi, in termini di programmazione della generazione a livello di rete europea, l’idroelettrico ha poche prospettive di sviluppo, vi è però una branchia diversa ancora potenzialemnte interessante, che è quella delle autoproduzioni. autoprodursi l’energia per il sostentamento: generare per coprire il fabbisogno energetico della propria casa/gruppo di case, non per vendere energia. dove ha senso fare ciò? in generale per quelle situazioni (poche in italia, a dir la verità, ma presenti, specie in territorio montano/rurale) non ancora connesse in rete. due fattori invitano oggi a questa strada: il costo all’utente sempre maggiore, in genere per le tasse, (e, in minima parte, per il costo del petrolio, perchè in general il prezzo di mercato si sta addirittura riducendo) dell’energia, oltre che la complicazione/costo per realizzare, nelle zone rurali, che se ancora non sono connesse significa che sono parecchio isolate, l’allacciamento. ecco che allora laddove vi siano situazioni come baite di montagna, con un ruscelletto (che magari passa nel terreno di proprietà), e notevoli dislivelli, si può pensare di installare una pat (un’alternativa valida potrebbe essere un impianto fotovlataico). la filosofia è drasticamente diversa quindi, in questo caso, da quella dell’idroelettrico classico! si parla di prelevare il minimo possibile dal corso d’acqua. l’efficienza e il risparmio energetico si vedono direttamente: i riduce il proprio impatto sul corso d’acqua. e questa viene presa in prestito per pochi (decine? si vede la voce “quanto”) metri e poi rilasciata. diverse filosofie di controllo possono essere attuate, tra queste a me piace quella per cui consumo solo mentre utilizzo: quindi di notte se non consumo energia lascio tutta l’acqua al fiume; e se accendo una sola lampadina consumo solo l’acqua che serve per quella lampadina (questo discorso ha degli approfondimenti tecnici necessari ma ripeto, voglio presentare idee in questo articolo, non discutere soluzioni! ;D)!

quanto.
ok, ma quanti metri? e quanta acqua? la potenza idraulica è il prodotto di questi due fattori: i metri (o salto o prevalenza) e la portata (i metricubi/litri al secondo, o flusso). devo avere entrambi contemporaneamente: se ho 100 metri e zero litri, non vado da nessuna parte (ho una montagna senza fiume) se ho 500m3 ma non ho metri ho un lago e sta fermo. ma qualsiasi portata e salto? in generale bisogna rispettare dei parametri della macchina, ma si possono scegliere turbine diverse per disverse situazioni, quindi in generale c’è parecchia flessibilità! parlando di numeri con 30 metri e 40l/s si possono generare (9.8*Q*H*efficienza) circa 10kW, potenza sufficiente in generale a tre case (potenza del contatore 3 kW in italia). ma gli stessi si possono generare con 100m e 15l/s. e così via. in generale comunque nella pat si turbina pressione, ossia metri: meglio avere dei bei dislivelli che enormi portate.
soldi.
e quanto costa sta roba? anche qua ovviamente dipende assolutamente dalle dimensioni e da mille fattori. però una PAT costa, a parità di potenza, molto meno di una turbina (come anticipato, fino a dieci volte meno). e il resto dell’impianto può dirsi all’incirca uguale. quindi a parità di potenza installata è sicurmante vantaggioso rispetto al microidroelettrico classico* (in termini quindi di costo di investimento e in ottica di autoproduzione: guardando invece all’energia l’impianto classico in ottica capitalista potrebbe invece risultare piu conveniente sul lungo periodo dovuto alla produzione maggiore!). in termini di costo al kW per impianti pico (qualche kW) si parla di circa 4/5 volte il costo si installazione del fotovoltaico, e di 2 volte il fotov. con accumulo! questo cosa vuol dire? che se si ragiona in termini di energia, ma questa volta sempre in ottica di autoproduzione, calcolando per semplicictà che il fotovoltaico produca alla massima potenza 6 ore al giorno (cautelativo in eccesso), vediamo che per avere la stessa energia a fine giornata possiamo installare una PAT grande un quarto (24h/6h) come potenza(facendola funzioanre h24, cosa possibile perchè l’acqua c’è anche di notte), per ottenere la stessa energia. quindi alla fine il costo è in generale paragonabile (sia con l’accumulo che senza). con l’aggiunta dell’eventuale discorso della flessibilità: se ho il mio rubinetto, posso aprire e chiudere quando ho bisogno dell’acqua, che è sempre disponibile. altrimenti posso installare un quarto della potenza appunto e optare per un piccolo accumulo. le soluzioni sono le piu svariate, e ognuna ha il suo costo da valutare caso per caso. l’idea che volevo passare era che comunque parliamo di roba terra terra ecco. non sono solo teorie campate per aria. :D

ecco, questa è un po’ una panoramica sul contesto. cosa poi io faccia con ste turbine è parecchio difficile da sintetizzare senza approfondire i dettagli dei sistemi. ma si potrebbe riassumere in automatizzare il blocco pat. renderlo indipendente. autosufficiente. in linea di massima. :D

spero queste righe possano essere d’interesse a qualcuno o servire per qualcosa. se i racconti di montagna sono sicuro che non servonoa nessuno, e le info sulle vie probabilemnte tantomeno, visto che sono robe di nicchia beh, qua forse ancora meno ahah! però bo, scrivo queste righe anche in un’ottica di divulgazione scientifica: tema spesso discusso e sul qale quasi tutti convengono che manchi chiarezza e diffusione. ma spesso sono critiche alle quali è difficile far poi seguire un impegno concreto e reale per andare controcorrente. e così ci ritroviamo nel mondo in cui ci ritroviamo, delle scie chimiche e amici vari. quindi gente, scrivere così è difficile, semplificare e scremare è un casino. però è bello farlo alla fine. se qualcuno leggerà ste righe sarà già una soddisfazione. poi io tornerò a cercare di avre un’attività alpinistica di cui parlare che probabilemnte è meglio per tutti.. :D peace. :P

note:
.ho anche pensato se avesse senso scrivere questa roba in italiano. non sarebbe stato forse meglio scriverla in inglese in ottica divulgativa? forse sì! o forse avere le due versioni sarebbe al cosa migliore. magari un domani lo tradurrò. o magari invece lo lascerò così. è bello anche provare a scrivere in italiano a volte. si scopre che certi termini non esistono, e vanno inventati. forse è così che una lingua si reinventa e si aggiorna.

* [1] parentesi: in realtà tal impianti a oggi (gennaio 2018) sono comunque incentivati. questo li rende molto attraenti dal punto di vista economico e questo sta portando a paradossali situazioni di centraline proposte in posti impensabili (perchè naturalisticamente preziosi) da imprenditori che dell’impatto ecologico/ambientale se ne infischiano allegramente. gente che nulla ha a che vedere con la progettazione ingegneristica, ma solo guarda all’aspetto finanziario di quello che considera un investimento qualunque, senza un briciolo di visione altra a quella capitalista. così facendo il solo risultato che si ottiene è quello di rendere invisa la tecnologia stessa alla gente delle valli, remando contro l’idea di un sistema di generazione migliore. ogni applicazione in quest’ottica dovrebbe quindi essere valutata attentamente dal progettista, cosa che spesso non avviene!

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Ultimo arrivederci, punta anita, valbaione di lozio

eccomi che dopo mesi di silenzio, dovuto all’aver buontempo, mi ritrovo in questi pazzi sabati sera malinconci ops! malinconici dublinesi a scrivere cose raccattate qua e là tra le esperienze degli ultimi mesi.
oggi sono stato a Glendalough, un posto considerato meraviglia d’irlanda, a far blocchi. due laghetti, bellini, per l’amor del cielo. e poi dei blocchi. niente male. e poi la pioggerella, incessante. e le gocciole. si magari le gocciole. gocciolava giù ovunque. ma qualcosa si trova di semiasciutto dai. anche senza mettersi a scaldarsi su una fessura di mano in strapiombo a 90 gradi esatti. tiriamo finalemnte 2 anzi 3 tacche, e poi basta. verso casa. bei posti, ma scalare ragazzi miei è altro cazz! :P

e allora vi racconto di una bella vietta tutta da scalare che ho fatto nei mesi scorsi, perchè è un gioiellino che merita assolutamente di essere ripetuto e non ci sono in giro informazioni attendibili, che io sappia, a meno che abbiate il contatto giusto. come d’altronde spesso succede con tutte le creazioni del Giacomo. ma questa merita veramente un giro, cosicchè mi prendo l’onere e la responsabilità di scrivere queste righe qua sotto. anche col rischio di “arruffare delle piume”, come dicono gli inglesi per “pestare i i piedi a qualcuno”!

la via in questione è, come da titolo, la via del giacomo in val baione di lozio, si chiama Ultimo Arrivederci e la montagna, scopriremo poi, si chiama punta Anita.
ma tutto ciò lo scopriremo poi. in primis partiamo solo belli lanciati, con in mano poco più che le info del leo, che mi disse, tempo addietro qualcosa come: “si ci sono dei 7a, ma vai tranquillo ve la passeggiate, ci sono miliardi di spit..! io l’ho fatta con skerry!”. mi aveva anche mandato la relazione ed ero rimasto perplesso. comunque la relazione l’avevo persa nelle varie chat in giro per il web. ma l’idea invece no, era lì chiara e tonda, perchè bo, la concarena spacca, la valbaione è un posto stupendo e scalare in maglietta in autunno è una delle cose che preferisco. aggiungeteci roccia bella e bella arrampicata, e poco affollamento. aggiungeteci che Lozio è sempre e comunque il padre dei vizi, specie in valle, cosa volete di più? quindi me l’ero segnata, e li era, ad aspettare il momento giusto, che arriva questo ottobre: ultimi giorni prima di andare a dublino, ultima chance di assorbire quanto più rosso di foglie di faggio autunnali della valle. ultimi cieli azzurri e sole scottante per un po’ di mesi. ingaggio il buon Armando e partiamo alla volta della chiesetta. ma.. come cazzo ci si arriva a sta chiesetta? l’ultima volta ero venuto d’inverno e comunque, inutile dire che, non mi ricordo una mazza. il socio non è mai stato. e quindi, dopo ben 6 o 7 minuti dalla macchina ci siamo già persi! :P ottimo inizio! ahah! comunque raspando tra gli arbusti in qualche modo arriviamo a sta maledetta chiesetta e siamo on the go. trotterelliamo su, guardando affascinati la parete dove dovrebbe salire la via del Berni, (sticazzi, avere il livello dev’essere veramente una mina, quindi se tu lettore, sei per caso uno forte, beh, quello (sx orog.) è il lato della valle che ti deve interessare!). Quando poi spunta la nostra parete inizia a venirmi qualche dubbio: ma avrò capito giusto? è questa la parete? o magari è più su? o magari è dall’altra parte? ostia sta roba è mega strapiombante, dove può passare una vietta che arriva max al 7a?! mah, continuiamo a salire e arrivare sotto la parete prevede superare un saltino erboso non banale, che incrementa i miei dubbi. ma siamo motivati e continuiamo e infatti sbam! appena raggiungiamo la cima di sto canale/ghiaione erboso, il primo spit campeggia esattamente nell’unico posto dove te lo aspetteresti. e poi il secondo e tutta la fila: ostia sembra duro sto primo tiro! bah! sarà questo il 7a!? parte il socio è in effetti il primo tiro è una bella bastonata. “impossibile che sia 7a sta roba!” bah, provo anche io da due e in effetti c’è una sezioncina che l’è prope dura! mah! però stupendo. veramente! poi il secondo.. ancora duro. e il terzo? anche. e così via si susseguono! all’inziio del quarto sbaglio strada e mi infilo in una fessura obliqua fuorviato da un chiodino, invece no, bisogna andare su dritto per dritto! si continua su per ste placche grigie di roccia stupenda a buchi, fino al magnifico diedro rovescio, che è forse l’unico tiro che riusciamo a scalare in libera. veramente una chicca! sopra invece la linea perde un po’: si continua per placche grigie, ma i numerosissimi spit ti inducono a pensare che ci siano diverse sezioni di A0 e a tirarli (ahah!!:D non che sia difficile convincerci in realtà!). ci sono sezioni belle e da scalare, ma altre veramente troppo dure per noi e l’unica è tirare! insomma in qualche modo ci ruspiamo su, consapevoli che alla fine il livello a sufficienza non ce l’hai mai, quindi tantovale essere qua e rasparsi su, che comunque il posto in cui siamo è eccezionale e tirare qualche coppia non ha mai ucciso nessuno!

il libro di via dice che gli altri ripetitori sono gente che si tiene a pacchi, quindi se non hano avuto da ridire sui gradi magari erano davvero dei 6c, solo duri..? (!!) bah! devo ancora chiedere un parere ad Angelin e al Gatto.. al Leo non chiedo neanche! ;D
doppie lisce e via.
scendere per gerù è un piacere e in un attimo si è giù. poi dalla chiesetta c’è una strada (!!) che va fuori tutta a dx facci a valle.. aaaaah! ostia adesso che lo sappiamo bisogna tornare a farne un’altra..!! ma non c’è osti! pota allora affilare i chiodi!! eeh! li a dx spazio ce n’è in abbondanza, ma le pendenze cambiano, il colore della roccia anche. la qualità non si capisce ma cercando roccia bella per me c’è. il problema è passare.. auguri!
parlottando delle folle turistiche che non affollano lozio, e di quanto questo forse sia un bene, e confrontando l’esperienza del mio socio scalvino con la mia scarsa di soverese trasfontaliero, si parla di pizze e di pub e di birre.. beh questi ultimi due a dublino non mancheranno dai.. rientrando faccio del mio meglio per assorbire ancora un tramonto in valle per darle l'”ultimo arrivederci” per qualche mese!

tecnico
da relazione (vedi sotto) (non so la fonte):
via ultimo arrivederci alla cima anita
7a(6a+ obb) S1 350 m

portare 0.5,1 e 2.

avvicinamento: arrivare a villa di lozio, tenere la dx, puntando alla chiesina che si vede già dalla strada. parcheggiare in uno spiazzo, quindi prendere la strada vs sx faccia a monte (fam) e proseguire lungamente, fino a una snatella, quindi ancora a sx verso delle baite e poi finalmente la strada gira e torna verso la chiesetta. dalla chiesetta su in val baione sul sentiero finchè si vede sulla sx super eviednte la parete. salire in un canalino erboso il salto roccioso e poi su per il canale fino alla base. la via attacca nel punto più logico in mezzo alla parete, a sx del grottone enorme, sulla verticale dello “spigolo”/estremità sx della parete (vedi foto). calcolare max un paio d’ore dal parchegio alla base, canale incluso.
la via si trova seguendo gli spit, unica eccezione è la partenza del 4o tiro, dopo la cengia erbosa: c’è un chiodo in una fessura sulla sx, invece bisogna tirare dritto in vertical per un fessurino, quindi obliquare un paio di metri a sx su un terrazzo, e sparare su nel grigio (spit gialli) roccia super a buchi ma non logico ecco (scalta stupenda però!). dopo il diedro la via non ha una logica ma sale dritta più o meno, comunque ci sono un sacco di spit basta farsi guidare.
metto un tracciato qua sotto NBBB è MOLTO APPROSSIMATIVO e fatto da me!! non è affidabile e serve sol oa dare un’idea di dove passa la via per trovare l’attacco!

doppie tutto liscio, soste a spit con qualcosa anche per calarsi in generale alla grande. abbiam lasciato un cordone su uno speroncino per fare una doppietta da 30 ed evitarsi il prato verticale al rientro.
materiale bo, i friendini che dicono non mi sembra siano indispensabili, noi, a parte quando ho sbagliato io strada, non credo che abibmao usato nulla, però al solito, il verdino totem salva la vita e non pesa quasi nulla, quindi why not!? :D

impressioni (ahah!): secondo il nostro modestissimo parere di falesisti della domenica, tecnicamente la via è bella tosta. almeno, i tiri di 7a non immaginatevi dei 7a da falesia ecco! in tutti i tiri,eccetto il diedro, abbiamo trovato almeno qualche sezione proprio da non saper proprio impostare. seghe noi, indubbiamente, però ecco, tenete presente di non andarci con l’autostima troppo alta ahah! :P comunque è tutta assolutamente godibile per quanto riguarda la scalata, se non vi infastidisce appendervi a qualche spit! :D ci sono dei tiri veramente stupendi, tutta la prima parte è veramente meritevole! e anche sopra delle belle sezioni tutte da scalare! l’obbligato 6a+ bo, può starci perchè è chiodata molto bene, però insomma per divertirsi secondo me il 6c molto solido serve, per passare senza staffate disumane un buon 6b/6b+, per arrivare in cima se è il sogno della vostra vita forse il 6a+ ci sta!

sum up
in ogni caso la via è veramente bella, scalata sostenuta su roccia molto bella in posto eccezionale. bella lunga e continua. fuori dalle rotte solite, merita assolutamente un giro!

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