uve bianche uve nere

(post lunghetto e pesantino. e non attinente l’attivit alpinistica in senso stretto e senza foto. se avete fretta desistete pure. :D)

immaginatevi di avere suppergiù venti e qualcosa anni. e di non avere un lavoro.

immaginatevi anche di voler studiare all’università o semplicemente di avere il desiderio di potervi fare una vita vostra. entrambe cose che passano oggi, ahimè, sempre piu spesso attraverso una, anche solo parziale indipendenza economica.

di fronte all’assenza di posti di lavoro fissi e comodi (che ci piacciano o meno), l’unico modo per guadagnare due soldi è quello di partire e andare a cercare lavoro all’estero.

così prendete, con una manciata di amici, anzi, di persone che magari non conoscete neanche, e andate in francia, perchè la francia è vicina, e la francia è grande. e questo significa campi e agricoltura. e agricoltura significa richiesta di lavoro manuale, che tu e i tuoi amici potete, anzi volete, offrire.

ora, una volta arrivati là cheffare? in italia non ne avremmo la piu pallida idea!: per lavorare nel settore agricolo l’unica soluzione è quasi sempre conoscere qualcuno. ma all’estero c’è un qualcosa che a volte funziona molto bene: i centri per l’impiego (che ci sono anche in italia tra l’altro!).

quindi eccovi li, tu e i tuoi amici, armati di buona volontà e di qualche vergognoso residuo di un francese studiato per qualche sporadico anno nella notte dei tempi della scuola primaria o secondaria inferiore che fosse; siete vestiti alla buona, ma dignitosi. siete soprattutto entuasiasti.

siete finalemnte nel posto giusto. l’avete finalmente trovato dopo essere stati rimbalzati come palline da pingpong già per diverse volte, da altri uffici in città o villaggi limitrofi. ma adesso sapete di averlo trovato.

entrate fiduciosi a testa alta nel locale, convinti di andare a parlare con la persona che risolverà la vostra infruttuosa ricerca che inizia oramai ad andare per le lunghe. la persona che metterà fine alquesta situazione di ignoto, di precarietà, di disoccupazione; di ricerca continua estenuante e soprattutto incerta. basta, non ne volete piu sapere di girare come trottole, di implorare persone che vi facciano lavorare. volete solo prendere in mano delle forbici e far volare grappoli.

già, perchè anche se è un lavoro duro, mentre lo cerchi ti sembra la cosa piu bella che ti possa capitare, quello sfacchinare per ore sotto il sole chini su un filare con il tuo secchio colmo d’uva e le vendangettes appiccicose appiccicate sul palmo della mano. ed è il lavoro che state cercando, quello del vendangeur.

entrate, sorridete, la vostra buona volontà è lapalissiana. vi avvicinate per parlare.

a questo punto entra in gioco la signora razzista:

la prima cosa che vi dice è la seguente: avete un appuntamento? è chiaro che voi non ce l’avete. come tutte le persone straniere siete arrivati li dopo aver speso una mattinata intera a cercare il posto giusto, figuratevi se avete un appuntamento. “niente rendez-vous?” bene, “allora mi spiace prima dovremo (ahimè!) servire tutti gli altri che arrivano.”

sia. ci può stare. prima o poi finiranno sti qua con l’appuntamento! speriamo. intanto ve ne state li come degli imbecilli a vedere la signora fare la falsa gentile con tutta la gente che continuamente arriva. e non appena si gira vi lancia delle occhiate maligne, palesemente giudicando il vostro aspetto ma, soprattutto, la vostra condizione di nullatenenti alla ricerca di un lavoro.
non è che l’ho pensata io questa cosa: la pensi tu, insieme al tuo amico li a fianco, e ve la confidate e questo conferma il vostro pensiero.

in un attimo di calma si esaurisce per qualche minuto il viavai dei prenotati e riuscite a farvi ricevere: andate in due e vi fate in mille per cercare di spiegare nella sua lingua a questa persona che cercate un lavoro nella vendemmia: come non l’avesse capito! da parte sua solo vistose rimostranze per le tue possibili incorrettezze grammaticali, o per il basso tono di voce della tua compagna. e soprattutto nessun tentativo di venirvi incontro.

finalmente, a seguito della vostra insistenza e intenzione di persistere finchè lei non si arrenda, finge di aver capito la vostra richiesta (ma dai! che fatica!). allora ti indica un pc e ti dice: cerca gli annunci su internet e chiamali. capito? tu sei arrivato fino a lì. per farlo hai dovuto trovare una macchina. trovare dei compagni di viaggio. smazzarti centinaia di chilometri, di gasolio e autostrada. sei stato mandato in giro a mo di caccia al tesoro per tutta la regione. adesso che sei arrivato questa ti dice di cercare su internet gli annunci, e chiamarli!

a questo punto pensate che la vostra necessità di un lavoro possa farvi soprassedere e fingere di non accorgervi della sua simpatia enorme: ignorando la sua intenzione di prendervi per il culo fate come dice e cercate gli annunci. trovato finalmente qualcosa di interessante vi aspetta un’altra sorpresa: cosa dicono questi?: rivolgersi all’ufficio dove siete in quel momento, vale a dire alla signora di qui sopra!

con un misto di disapprovazione, confusione (ma sta qua è davvero così cretina?), e disprezzo, tornate dalla vostra amica e le riportate il fatto. la sua risposta è la seguente: bisogna telefonare a un numero di telefono, che è il telefono di quell’ufficio all’interno del quale siete da ormai mezza mattinata, completare la procedura guidata e parlare con l’operatrice, che ovviamente sarà una persona nella stanza a fianco e con la quale potreste sedervi a un tavolo e parlare, no?

ma la presa in giro non finisce qui. anzi, siamo solo all’inizio inizio. già: la voce della procedura guidata è in francese fittissimo, non c’è modo di cambiare lingua e la tipa vi fa capire che non ha nessuna intenzione di aiutarvi nel superare questo ostacolo!

ma la goccia che fa traboccare il vaso è la seguente: l’atteggiamento di finta cortesia della stessa persona nei confronti della gente che nel frattempo continua ad arrivare!: sfoggia un sorriso falso e malamente teatrale, e si fa in mille per servirli. arriva un signore che chiede per la vendemmia e la tipa si mette insieme a lui a cercare gli annunci e telefona in sua vece, nonostante questo parli perfettamente francese.

la situazione, riassumendo è la seguente: c’è un annuncio di lavoro che vi interessa, lo vorreste contattare e l’unico modo di farlo è tramite la signorina che è nella stanza a fianco la vostra, con la quale per non potete comunicare a causa dell’intervento forzato di una persona che ha tutta l’intenzione di mettervi il più possibile i bastoni tra le ruote.

perchè ce l’ha con voi? in quanto immigrati? in quanti stranieri? in quanto pezzenti? chi lo sa. quel che sapete è che però quel lavoro vi serve e non avete intenzione di rinunciarvi.

arrabattandovi a schiacciare pulsanti riuscite quindi a parlare con la tipa della stanzetta a fianco. chiedete dell’annuncio e lei inizia a macchinetta a farvi domande: la prima è: da dove venite?. domanda che nasce sicuramente dall’ascolto del vostro francese un po’ tentennante e accentato all’italiana. a questa segue un perentorio “mi spiace, ma per questo posto dovete avere categoricamente anni di esperienza”. qualcuno di voi li ha e mentite spudoratamente per non cadere nel suo tranello. nonostante la vostra gentilezza la voce all’altro capo della cornetta si altera. ed ecco spuntare una seconda clausola, inesistente nell’annuncio e probabilmente inventata ad hoc: “dovete per forza e indiscutibilmente risiedere nei paraggi!” “ma siamo in tenda e abbiamo un’auto! possiamo andare dove vogliamo!”, provate ad obbiettare. rien a faire. a quanto pare non sono ammessi stranieri per quel lavoro.

eccolo qua insomma, questo razzismo, che viene a galla. due persone provano a interagire, due persone uguali, delle stessa cultura occidentale e dalla pelle dello stesso schifoso colore bianchiccio, che si differenziano (all’apparenza) soltanto per la lingua utilizzata quotidianamente e il luogo di residenza, che dista poche centinaia di chilometri. una microscopica differenza basta per chiamare in causa il concetto di diversità, che da solo sarebbe un concetto meraviglioso. ma qui, questo essere considerato diverso significa essere trattato in maniera differente. il diverso è considerato sbagliato. e soprattutto meritevole di essere ricoperto di disprezzo gratuito.

veramente gratuito. e proprio nella sua inutilità perfetto per rovinare la vita di altre persone di buona volontà, per fare nascere odio. in quantità industriali. perchè te lo garantisco: anche tu e i tuoi amici per bene, nei quali vi ho chiesto di provare a immedesimarvi, dopo qualche ora a cercare di risolvere la situazione, avrete esaurito al buona volontà.

e se vi eravate calati bene nel ruolo avrete pensato che forse a voi non sarebbe mai successo, perchè avevate fatto gli scout da piccoli; eravate andati a catechismo fino alla terza media ed avevate pure fatto qualche esperienza di volontariato; credevate di essere persone perbene che venivano da famiglie borghesi e accettate dalla comunità in cui vivono. a voi non sarebbe mai potuto succedere qualcosa del genere. e proprio a questo starete pensando uscendo sconsolati da quel centro pel l’impiego. e nel frattempo, anche nel fondo delle vostre menti, vedendo quella stessa schifosa signora mostrare un falsissimo sorriso ai nuovi arrivati, sarà iniziato a germogliare il fiore della rabbia.

quello che spero è che quel fiore, che tanto fa paura ma che è qualcosa che cresce spontaneo, venga coltivato e curato nella maniera giusta, e arrivi a splendere. e il suo splendore vi porti (“tutte le genti che passeranno”) a fare un pensiero semplice quanto importante: il razzismo è una brutta storia.

peace.

nota: questa storiella mi è venuta di getto, così, a braccio.
ma la storia su cui è fondata è una storia vera. il contorno di questa storiella è, come anticipato, un contorno fatto di francesi super gentili e disponibili. la protagosnista della storiella è l’eccezione che conferma la regola forse. e non lo dico per buonismo ma per esperienza concreta di tempo passato lassù insieme a loro, di persone incontrate che ci hanno trattato coi guanti e con un grandissimo rispetto. grazie a tutti loro e ai miei mitici compagni in questo viaggio che è stato un’esperienza super positiva in ogni sua momento. dagadet!

ps: ici les vendangeurs tout ensemble:

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esplorando gli écrin: dome de neige

a volte basta un accendino per accendere un’idea. un lumicino in fondo alla tua testa.

ci sono un sacco di modi di iniziare un articolo, nella fattispecie questo, che mi vengono in mente. ed è difficile scegliere il migliore. alcuni ne preferirebbero uno, altri un altro. a me che scrivo piacciono tutti e so che ognuno saprebbe dare una diversa sfumatura al racconto.
altrettanti che gli incipit, sono i modi in cui nasce l’idea di una salita nella contorta e sempre confusa mente di un alpinista. ci sono vie che vedi in una foto. altre che leggi nelle pagine di un libro. altre che ti sogni la notte o perchè no, che escono per sbaglio, male interpretando una relazione.

la salita di cui mi accingo a raccontare ha avuto una genesi curiosa. da un lato casuale, dall’altro invece con una bella storia alle sue spalle.

tutto è nato, come dicevo, da un accendino. e dal pesante accento bergamasco che incombe, volente o nolente, sul mio maccheronico inglese col quale mi accingo a chiedere un accendino a quella che è probabilemnte l’unica persona che passa, in quell’istante, nel raggio di qualche chilometro da noi: “sorry, ‘ve you got a laitèer?”

già, ho comprato il jet boil nuovo nuovo, ma ho preso la versione super base, senza neanche l’accensione piezoelettrica, che te la facevano pagare come un altro jet. e allora siamo qua, spersi in questa assai imponenete valle nel cuore del massiccio degli ecrin e non c’è traccia di scintille che accendano il gas.

la risposta è secca e super amichevole, e soprattutto in italiano convinto, senza traccia di dubbio sulla mia possibile provenienza: “ce l’ho ce l’ho l’accendino!!”. mi guarda sorridendo e finalmente lo vedo in viso: è una faccia nota!: carlo è un “abituè” del bside e degli ambienti torinesi. l’avevo conosciuto in un’occasione nella quale, più che stavolta, era stato provvidenziale nel cavarci da una possibile situazione parecchio scomoda, quando io e il gyppa salivamo verso il mongioie totalmente ignari dei metri di neve cui andavamo incontro.

così intanto che l’acqua bolle facciam due chiacchiere: loro scendono dall’auguille dibona, dove noi pensavamo di andare domani. ci facciamo suggerire la vietta per il giorno dopo (che faremo: “visite obligatorie”, molto bella) e in più parlando del meteo e delle condizioni che fanno schifo carlo ci parla di questa via dibona al dome de neige. dice che ha sentito di gente che l’ha fatta nei giorni precedenti e parrebbe essere in condizione, nonostante sia una salita di misto abbastanza invernale e fossimo a metà agosto. dome de neige des ecrin? per noi, centralisti filorientali, che guardano volentieri ad occidente ma non vedono oltre la barriera alpina italica, questi posti sono tanto affascinanati quanto sconosciuti (lo sono per il tito figuriamoci per me!!): ottimo, daremo un’occhiata! li salutiamo e loro se ne tornano verso briancon a scalare al sole sul bel calcare dei cerces.

facciamo la vietta alla dibona per orientarci un attimo (e assaggiare lo stile degli avvicinamenti della zona) e poi andiamo a curiosare all’ufficio guide, dove troviamo il tracciato di questa dibona, che sembra parecchio interessante: cercavamo giusto una bella girata un po’ in alto, senza tribolare troppo! (!!).
cerchiamo di raggranellare qualche info ma all’ufficio guide sono muti come pesci francesi, e ancor meno sono intenzionati a dispensare info su condizioni o meteo. qualche tacca di wifi al bar però ci permette di intravedere la finestra di due giorni di bello in arrivo e allora decidiamo di andare. a caso. perchè dove è passato dibona sarà abbastanza evidente. pensiamo.

così zaino in spalla e tenda in zaino andiam su nel vallone di bonne pierre.

e la mattina dopo verso le 4, alla luce delle frontali (o meglio della frontale del tito che illumina 10 volte più della mia), siamo sotto la terminale. sotto, già, visto che è un muro strapiombanteinclinato a 45 nella direzione sbagliata: piombaincombente sopra di noi!! ma il tito, gasato dalla cosa, messe due ottime viti psivologiche nella neve compressata, con una pompata la passeggia. mi recupera, poi parte come un treno per il canale soprastante: di qui in poi un bel couloir di neve perfetta per 700 metri ci attende, pronto a prosciugarmi le energie! saliamo a tironi/conserva a seconda delle condizioni del ghiaccio fino alla muraglia in cima.

qua il gioco si fa parechio duro, io sono abbastanza distrutto e lascio andare il tito che non lo ferma nessuno e macina un due o tre tirelli di misto, ma misto quello vero, con le placche lichenose di spalmo da fare coi ramponi stringendo tacche, con passi di incastro di guanto su blocchi tenuti li dal ghiaccio, e soste da chiodare e inventare su blocchi di roccia di buona qualità ma un po’ poco soldati tra loro.

arriviamo a quello che sembra un muro roccioso parecchio in piedi, dopo l’ultimo bellissimo tiro di misto sul quale abbiam trovato delle corde fisse. il tito parte senza ramponi e trova anche un paio di chiodi. sosta dopo una quindicina di metri dopo aver fatto quello che sarà uno dei tiri di quinto che (pur scalandolo da secondo) ho trovati più precari nella mia vita.

la via quindi segue un bellissimo diedro di ottima roccia, che termina in una bellissima candelina di ghiaccio di qualche metro a 90, che si sale bene sfruttando anche la roccia intorno.

io non vedo, e il tito sale, mette e toglie i ramponi, mette viti da ghiaccio, chiodi, friend, nut… fortuna che non ha portato il suo nuovo bulldog (attrezzo scozzese a forma di becco da martellare in fessure ghiacciate nda) se no erano cazzi.

alla fine ancora un paio di tiri su roccia parecchio instabile ed esposizione notevole, ci accompagnano verso l’arrivo del sole e l’arrivo nostro alla cresta.

di qui qualche tiro facile ma molto bello (per quanto il mio fisico mi stesse a questo punto per abbandonare) di cresta ci porta verso la vetta, che è una vera vetta: dall’altra parte la normale è tracciata:

che spettacolo arrivare da questo versante ombroso e selvaggio, battendo traccia sulla crestina intonsa, e incontrare la traccia, un segno di passaggio umano, siamo tornati nella civiltà! (nonostante le 6 orette a piedi che ci separano dalla prima costruzione umana.)

info tecniche:
non sappiamo che via abbiam salito. la guida all’ufficio guide segnava una freccia su di li, senza dire niente in proposito. sicuro la dibona mayer andava a sinistra a metà del canale, anche perchè dove siam saliti ci è parso parecchio duro per il, per quanto fortissimo, dibona. per quanto la scalata non sia mai tecnicamente difficile, la salita è nel complesso molto impegnativa. ambiente veramente austero e varietà dei passaggi fanno passare in secondo piano la qualità della roccia che in qualche punto è un po’ scadente (ma in altri è molto buona). portare due picche e ramponi da misto (la meglio cosa sarebbero forse le due punte verticali per il canale). discesa evidentissima se tracciata, se no meglio avere una cartina ma comunque non presenta difficoltà tecniche.
come logistica noi abbiam tendeggiato sulla morena sia la notte prima che quella dopo.

thanks:
sicuramente al tito che mi ha (al solito) portato a fare una roba parecchio fuori dalle mia portata, e poi sicuramente a carlo e socia che ci hanno ottimamente consigliato.

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