chiodare falesie: nuove opportunità di investimento

(titolo alternativo: polemiche gratuite in un mondo dove tutto costa)

nota: se stai leggendo cercando cose bella apri un altro articolo di questo blog, hai scelto quello sbagliato. la presente è un lunghissimo sproloquio invernale sulla teoretica delle chiodature.
[fossi una guida alpinistica agli articoli di questo blog, scriverei: “roccia scadente e linea poco interessante. sconsigliata.”]

se siete amanti del genere, invece, enjoy!

dietro casa mia c’è una falesietta favolosa. è un posto incantato, una manciata di tiri, dove non va mai nessuno. perchè sono duri come la morte e chiodati belli lunghi. inoltre la chiodatura e il sentiero iniziano pian piano a risentire rispettivamente degli anni e della scarsa frequentazione, rendendo ancora meno appetibile questo angolo inesplorato, che non è nascosto, solo abbandonato.

tuttavia ogni tanto riesco a convincere qualcuno e vado a mettere le mani su quella roccia perfetta; e provo e riprovo a risolvere quei problemi insulubili. magari riesco a fare qualche progresso con la corda dall’alto, poi li provo dal basso e sono sempre felicemente risputato giù da quella parete affscinante ma impietosa.

questa parete l’avevo ai tempi scoperta scrutando pareti su pareti, sapendo solo della sua esistenza, senza saperne molto. sapevo che c’era questo posto e che era molto duro e poco frequentato. questo era bastato a spingermi a mettere mano allo scandaglio, e alla fine l’avevo trovata.

il posto, conoscendolo, è un muro evidentissimo, si riconosce a km di distanza. ma senza conoscerlo si perde in una fascia rocciosa molto ampia, che, mantenendo altezze variabili tra gli zero e la cinquantina di metri di altezza, circonda, con alti e bassi, una buona parte dell’altopiano soprastante.

questo significa che di punti con bella roccia ce ne sono, ma i posti chiodati storicamente, di tutta questa fascia sono due: oltre a questo, ce n’è un altro, tutto a sinistra, dove ci sono ben più tiri, anche questi per la gran parte davvero belli. diversamente però, qui sono stati quasi tutti richiodati e, se resta una falesia poco frequentata, per il suo livello più basso e la chuiodatura buona, oltre che la relativa migliore accessibilità, qualche volta qualche d’uno ci capita.
ma sono solo due pezzetti e restano un sacco di altri punti di questa fascia rocciosa, con roccia molto bella, che mantegono stretta la loro verginità.

noi locals, inutile dirlo, spesso andiamo a curiosare, con l’idea che si potrebbe mettere in piedi un cantiere, sbancare queste matasse di rovi alla base, togliere l’edera che in tanti posti la fa da padrona, sistemare la base dove necessario, creare un sentiero decente e regalare a tutti un altro piccolo gioiello di calcare. mi è capitato anche recentemente di salire con un amico a scrutare quelle cannette appena accennate, quei buchi netti e quelle fessure svase, e immaginare linee, sparare pronostici sul grado che potrebbe uscirne o sulla sequenza per concatenare i tratti lisci.

ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ma ancor di più c’è di mezzo il ragionare. se le due falesie già esistenti, molto belle, non attirano minimamente gente, perchè mettersi a impiegare tempo risorse soldi energia a sistemare e pulire pezzi nuovi? la risposta che in primis pernsavamo reggere era questa: creare cose nuove potrebbe spingere a riscoprire queste zone: potrebbe rilanciare l’arrampicata su un territorio ricchissimo di opportunità e al contempo assolutamente desertico di praticanti, e anche attirare gente dall’esterno.le energia e la voglia c’erano e potevamo metterci e lavorare.

ma poi parlandone e ripensandoci, ci siamo accorti che effettivamente questo ragionamento aveva una falla. tutto ciò era molto bello, ma non aveva davvero senso mettersi in un progetto grande e nuovo quando già c’erano altre due falesie da valorizzare: se chi aveva inventato queste altre falesie. e aveva scelto quesl posto per inziiare e non un altro, siuramente non era perchè quell’altro posto non l’avesse scoperto e analizzato. ma alla fine avrà avuto o l’accesso più scomodo, o un’esposizione peggiore o qualche scomodità. o semplicemente era meno interessante. e se l’idea di aggiungere cose può essere positiva, non lo è il fare cosa nuove abbandonando quelle vecchie: sicurmanete la prima cosa da fare sarebbe richiodare la falesietta di bossico! sistemarla un po’: le catene, la base, la chiodatura, il sentiero.. e poi pulire le prese e magari pubblicizzarla, mettere due cartelli. a questo proposito io sarei anche disposto a rimboccarmi el maniche, e l’ho buttata lì diverse volta a diverse persone che potevano essere interessate. ma per fare tutto ciò è necessario avere dei finanziamenti e delle attrezzature, oltre che un’organizzazione, a mio avviso (mentre spesso e volentieri chi fa ciò si sobbarca tutto il lavoro da solo perchè noi muntagnin sono/siamo muntagnìn..). io da solo, non possedendo un trapano, nè i soldi per comprarmelo, nè tantomeno degli spit (un piccone per il sentiero ce l’avrei anche, ma reputo ciò di importanza secondaria rispetto alla chiodatura, oltre che meno divertente.. :D) poco potevo fare.

succede ora che lo scorso inverno, compaiono dei luccicanti spit in un altro posto sempre nei paraggi: c’è un altra falesietta, qua in zona, dall’altro lato della valle. anche qua una manciata di tiri su calcare perfetto, questa volta facili e ben chiodati. questa è già più frequentata delle due sopracitate, e capita di incontrarvici gente, anche da fuori. di fronte a questa c’è un’altra paretina, strapiombante e umida, che è impossibile non notare quando sei a scalare lì. ci sono delle belle canne e ti viene voglia. allora vai là, guardi, vedi, ti viene sicuramente voglia di metterci su le mani, e quasi anche quella di cercare un trapano. ma poi pensi. e chiedi e senti in giro. e se i tiri bassi del santuario (c’erano un paio di tiri carini vicino alla cascata: nessuno li faceva mai perchè sempre umidi) sono stati schiodati da chi li aveva inventati liberati e scalati tante volte, un motivo c’era. e se chi ha chiodato tutto, non ha chiodato la parete di fronte, magari (magari no!) un motivo c’era (e non era certo perchè non avessero il livello!!). ma chi è venuto a piantare quegli spit non lo sapeva, non si è interessato, non ha chiesto o non ha pensato. perchè magari quel pezzetto di là, esposto a nord e a fianco di una cascata, anche se era spesso e volentieri umido e non avrebbe sicuramente avuto una gran frequentazione, magari avrebbe potuto diventare l’unica isola felice nella calura estiva (specie in una’area, la nostra, dove la fanno da padrona le falesie invernali). ma pensare non è solo sul successo dell’inziativa, quanto anche sul come. non basta mettersi e trapanare e avvitare placchette: bisognerebbe anche chiedersi come farlo.

e non voglio assolutamente entrare in discorsi di spit no spit, sono di quelli convinti che se chiodi una falesia, quella vada a essere un posto che proponi a tutti, perchè ci vengano e si allenino senza patemi d’animo, tranquilli che se anche cadono ci sono dei solidi spit a sostenerlo. tutt’altro discorso rispetto alla montagna. tutt’altro discorso quindi quello legato alla sicurezza: creo un posto dove verrà altra gente ad allenarsi, devo fare le cose a regola d’arte! invece questi maledettie luccicanti spit troneggiavano in posti impensabili (a detta mia ma anche di gente ben più esperta!), alcuni sulle canne o su lame che suonano vuoto! insomma, da starci attenti!

ora casualmente scopro, un uccellino mi dice, che conosce chi ha avuto questa fantastica idea. è un personaggio(che non conosco!) e che viene da fuori, addirittura da un’altra valle!! e scopro non solo che ha chiodato quello strapiombo, ma si è spinto oltre: ha avuto l’idea geniale di mettere le mani sulla fascia rocciosa di cui dicevo in incipit. e ha chiodato (per ora e per fortuna soltanto due) un paio di tiri. in uno dei pezzi di parete più puliti dall’edera.

viste e rifatte tutte le considerazioni di qui sopra, mi sono chiesto se questa persona davvero non si fosse fatta nessuna di queste domande. in ogni caso, chiamato a rapporto il mio cane, ho deciso di andare a curiosare.

ancora una volta non avevo idea di dove fosse questo posto, ma ormai queste pareti le conosco bene, allora sono partito, e sono andato su dritto. e nel primo metro quadro di roccia dove ho guardato, ho trovato lo spit. c’erano due tiri, sui bianchi, il pezzo più figo forse. i tiri sembravano ovviamente molto fighi e, detto tra noi, non vedo l’ora di provarli.

però mi restano moltissimi dubbi. che progetti avrà questa persona sconosciuta riguardo quelle pareti? vorrà gloriarsi di averla chiodata tutta lui, andando avanti? avrà le forze le energie i soldi e la costanza di sobbarcarsi tutto quel lavoro? avrà una schiera di aiutanti o farà tutto da solo? avrà tenuto conto delle proprietà da attraversare col sentiero? e avrà sprattutto le capacità per fare questo mestiere in maniera corretta, per poter creare un posto sicuro dove scalare? e non si stancherà di fare avanti e indietro dalla valle brembana e lascerà il lavoro fatto a metà? tra l’altro, chisà se in cima a quei tiri ci saranno le catene e i tiri saranno già agibili. lasciare un cantiere aperto senza notizie è come lavorare a un tombino e lasciarlo aperto la notte perchè domani devo finire il lavoro: rischi che qualcuno nel frattempo ci rimetta una gamba. sui progetti futuri ha lasciato qualche indizio: tutti i tronchi d’edera nelle vicinanze di quel tiro erano stati tagliati alla base: aspettiamo che secchi che poi si toglie più facilmente. quindi una certa idea di espandersi sembra esserci, almeno nelle intenzioni. ma con che tempistiche? e soprattutto, con che progetto finale? ci sarà un progetto costruttivo dietro tutto ciò?

sono domande che potrebbero avere una risposta e questa risposta magari sarebbe molto rassicurante e lascerebbe tranquillo. ma vorrei averle queste risposte, e invece trovi cose fatte, senza sapere nulla. e le scopri casualmente! ma non credo di essere l’unico che vorrebbe sapere, magari perchè sono di qua, magari perchè sono affezionato a queste pareti. credo che tutti dovrebbero poterlo sapere, visto che quelle pareti sono di tutti e tutti potrebbero averci dei progetti e tutti dovrebbero potersi esprimere a riguardo. e sia chiaro, non per distruggere o criticare, ma per poter creare un progetto migliore. perchè se l’idea di chi ha iniziato a fare fosse davvero convincente, non credo che nessuno avrebbe da ridire, anzi: ripeto, io sarò il primo ad essere contento di avere una nuova falesia, dove poter scalare senza ressa, a un paio kilometri in linea d’aria da casa!

resta tuttavia l’amaro in bocca nel pensare che ormai è sempre più di moda andare in posti a caso e chiodare cose (a quanto pare la moda di fare cose (a caso!) l’ha lanciata il nostro capo del governo). ma benissimo, fare, ma il problema è fare senza informarsi, senza cercare di entrare in contatto con la scena locale, con la storia di quel posto e le esigenze di una comunità arrampicatoria, sempre in un fluido evolvere ma al contempo che ha un motore storico e una situazione sociale sempre da tenere in considerazione e cui non si può non fare riferimento.

tornato a casa ne parlavo con mia madre e le chiedo: secondo te perchè uno fa una roba del genere? e lei mi risponde: sarà per la gloria di averla ciodata lui per primo! ecco, mia madre di alpinismo non ne sa nulla se non qualcosissima che le racconto io ogni tanto. eppure confondendo alpinismo e arrampicata ci ha forse pienamente azzeccato. o forse no e non è questo il caso. ma generalizzando ci ha preso: adesso che le pareti utili stanno pian piano riducendosi (almeno quelle a distanze utili dalla strada/civiltà) sta nascendo una sorta di corsa all’ultimo quadratino vergine. e questa smania per cosa? per mettere la propria firma, per guadagnare la gloria come “colui che ha addirittura chiodato una falesia”? l’ultima e peggiore per qualità perchè se era l’ultima c’è un motivo? per mettere, non so, il proprio nome nella storia dell’alpinismo?? ma davvero? questa cosa, specie quando si parla di questo analogo discorso riferito alla montagna e alle pareti più blasonate, mi sembra proprio paragonabile al più becero imperialismo! imperialismo nei confronti della superficie verticale! e non per trarne soldi e potere (che effetivmaente potrebbero essere obbiettivi altrettanto vani, chiusa parentesi), bensì avere l’orgoglio di essere stato storia andando a consumare anche l’ultimo metro quadro di questa inflazionatissima parte di mondo, dove l’ iperurbanizzazione ha riempito e messo il nome di un proprietario già a qualsiasi metroquadro orizzontale! geniale no?

mi viene da fare un parallelo, che può durare solo fino a un quarto a mezzogiorno, con quello che tanti europei vanno e fanno, a livello alpinistico, in tanti posti del mondo. vanno e salgono pareti, che comunque è una cosa diversa. salgono con lo stile più loro aggrada. però quando in quel posto nascerà una scena arrampicatoria, i locali si troveranno le pareti più belle già salite, magari in maniera più invasiva di quello che la cultura alpinistica locale potrebbe aver elaborato nel frattempo.
eppure tra queste due casistiche permangono a mio avviso due differenze fondamentali: una è che qua un interlocutore (per quanto vago e poi ci ritorno) c’è e non tenerne conto non è giustificabile neanche di facciata raccontandosi che non esiste; la seconda è che a livello alpinistico è diverso: salire una via nuova in montagna è un’avventura. è un discorso. ma chiodare una falesia è tutt’altra cosa! è aprire una palestra accessibile a tutti, potrebbero andarci sprovveduti, non si può transigere sulla sicurezza. e tantomeno si può, credo, mettersi a creare cose senza pensarci.

e dico questo specie pensando alle nostre valli: ultimamente infatti assistiamo a una incredibile sorta di cannibalizzazione e assalto alle pareti accessibili di bassa valle. in alcuni casi con criterio, in altri meno. stanno nascendo un sacco di falesie, anche importanti per grandezza o esposizione. molto bene che chiodino, molto bene per noi, che ci troviamo del lavoro già fatto e dei gioiellini da assaltare senza pietà, arrivando con imbrago e scarpette senza neanche mettere mano al piccone. però meno bene quando assistiamo a cose fatte senza criterio. è proprio questa mancanza di un confronto con altri la causa, evitabilissima, di tanti disastri! confrontarsi apre da uno sguardo di un singolo a una visione ampia e differenziata.

quello che mi dispiace è che della buona volontà e una disponibilità di risorse vengano a volte quindi impiegati male creando qualcosa di negativo, quando magari basterebbe un iminimo comnfronto per moltiplicare le risorse e le energie e creare qualcosa di bello, con un obbiettivo comune che possa soddisfare tutti. non credo che, in questo ambito del voler creare falesie dove arrampicare, ci siano questioni etiche problematiche che potrebbero portare la gente su posizioni incociliabili. (per fare un esempio opposto: non siamo in un caso evidente di conflitto di interessi dove la totale chiusura al confronto è asservita alla difesa di interessi di poteri fortissimi come quello della tav). stiamo parlando di un obbiettivo comune. e allora lo scoglio è solo o quello della gloria di alcuni, oppure quello della paura di mettersi in gioco, di provare a confrontarsi.

ma c’è anche un altro problema, ho pensato, guardando quelle cannette vergini a fianco dei maledetti spit. ed è semplice quanto concreto: quelo dell’interlocutore, che accennavo in precedenza. come fare a risolverlo questo problema di dialogo? o meglio, come fare, decidessi un giorno di andare chissadove a chiodare una falesia, a entrare in contatto con la scena locale? non esistono, ahinoi, posti (fisici nè telematici nè ideali) di confronto. e questo è un male anche in generale per la scena stessa, non solo in questi casi. perchè se una situazione di confronto inter-locals esistesse, io credo che già problemi di questo genere sarebbero stati discussi e già quelle falesie chiodate o meno. invece no. non c’è comunicazione, se non tra conoscenti diretti che si vedono e incontrano di persona, e comunque saltuaria. e non c’è mezzo di comunicazione, non c’è luogo di discussione. (e non mi si venga a dire la sede del cai perchè potrei rotolarmi dal ridere in primis, e in secundis adirarmi pensando che effettivamente quello che una volta avrebbe potuto nascere con un intento del genere invece è diventato nella gran parte dei casi ritrovo di amatori della montagna che nulla hanno a che fare con la reale situazione arrampicatoria/alpinistica locale, oltre che buco nero per le eventuali risorse destinate dallo stato all’obbiettivo di cui stiamo parlando (sviluppo attività alpinistiche)).

e allora cosa propongo? bella domanda! :D proposte non ne ho, se non forse un qualcuno che si prendesse l’incarico di fare da referente per una scena locale (ad esempio una persona (es una guida ma anche no!), coscienziosa sul suo ruolo attivo nella scena arrampicatoria). che sapesse mettere in contatto le persone tra di loro e che tenesse informata la gente interessata e che chiamasse dei tavoli di discussione in caso di proposte del genere. mettendo il numero/nome di questa persona ad esempio sulla guida delle falesie e nelle varie falesie, chi cercasse info o volesse proporre proposte potrebbe fare riferimento a questa persona. forse è una proposta labile e che farebbe ricadere del lavoro su una persona (non un gran lavoro in realtà). pensare una mailing list pubblica alla quale chi è interessato al tema può iscriversi e dove creare un dialogo ed eventualmente, se necessario, dalla quale proporre discussioni pubbliche? è un’altra idea.

e se queste idee potrebbero, anche, contribuire a creare legami interni a una comuità di gente che esiste di fatto, ma che spesso e volentieri conduce la propria attività in maniera totalmente nucleare, senza avere mai interscambi, sono comunque scettico sul fatto che questi spunti potrebbero funzionare, specie in vista del fatto che comunque, come dicevo prima, spesso siamo tutti dei muntagnìn e ci interessa più il fare che il dire e il pensare.

resto tuttavia convinto che questo sia necessario e fondamentale, e che possa dare molto anche all’idea stessa delle persone che vivono in montagna. “felicità è partecipazione” leggevo recentemente da qualche parte. per gaber era libertà. comunque la partecipazione è una parte fondante della vita sociale e mettersi in discussione è sempre un buon punto di partenza. give it a try. anche se ta set u montagnìn.

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blocchi mentali del terzo tipo

era un po’ che non andavo a far blocchi di plastica in palestra. alcuni mesi, anzi, parecchi mesi. sarà da febbraio o gennaio credo.
oggi sono ritornato al bside. mi sentivo un po’ un estraneo, un po’ un vecchio affezionato che torna in un posto dove andava anni prima e lo guarda da molto distante; un po’ come il protagonista pavesiano de la luna e i falò.

Per alcuni versi è stato abbastanza un trauma, ma poteva andare peggio.

nella mia storia arrampicatoria devo dire che ci ho messo parecchio a interiorizzare la filosofia delle palestre di plastica.

all’inizio inizio non ci pensavo, ci andavo e basta. andavamo con peter al manopiede, eravamo alle prime armi, non avevamo idea di cosa fossero l’alpinismo o le montagne, nè, tantomeno, di che mondo potesse ruotare intorno a tutto ciò.

col passare del tempo ho iniziato ad andare in montagna, a districarmi tra le varie sfaccettature di quella che sembrava una disciplina come tante, ma che ai miei occhi era, ed è, unica e meravigliosa. e vedendo posti diversi, montagne e falesie, vallate e angoli nascosti, ho iniziato ad interrogarmi e a ragionare, cercare il senso di quello che facevo, sull’apparentemente insensato faticare per raggiungere cime, di montagne o di paretine di fondovalle. E nel mio filosofeggiare ingenuo, faticavo a comprendere come fosse possibile che, a tanta bellezza, la gente potesse preferire quelle scatole chiuse e polverose, con le pareti ruvide e i numerini sulle prese. non era proprio un averle in fastidio quanto, piuttosto, un non riuscire a comprenderle. soprattutto perchè vi vedevo un mondo talmente distante da quello a me noto e caro della roccia vera, delle montagne, della natura con profumi e colori, che non riuscivo davvero a paragonare le due cose. eppure, dal mio punto di vista, mi sembrava che la gente fosse lì per la stessa ragione per la quale io andavo in montagna. per fare le stesse cose che si facevano fuori, come se la plastica non fosse che una delle varie alternative che aveva un arrampicatore, e la sua comodità la faceva vincere.

E allora, vuoi per una predisposizione all’ostilità verso le scelte di comodo, vuoi per questa incapacità di lettura, mi è successo di aver avuto una sorta di rigetto per la plastica, e per un bel periodo mi sono ostinatamente rigiutato di andarci: frequentarle voleva dire per me andare in quella che ai miei occhi sembrava una gabbia di matti. Matti che non riuscivano a uscire dalla schavitù della comodità e preferivano quel posto, vicino all’auto e all’asciutto, alla meraviglia di stare all’aperto, magari in alcuni angolini delle nostre montagne dove sei immerso nella natura e non c’è di meglio che essere lì a fare la cosa più bella del mondo, che per me era scalare. il risultato era che ne uscivo sempre deluso, pieno di dubbi e col morale sotto i piedi.
a ciò si aggiunga che la mia attitudine alla scalata su plastica era, e parzialmente è, parecchio negativa: la mia motivazione per chiudere i tiri di plastica è sottozero, e se vedo un piede viscido mi appendo: non vedo ragione per cui dovrei rischiare di cadere, magari grattandomi una gamba sulle ruvide pareti di una palestra.

viste le premesse, ero tuttavia, progressivamente e non senza fatica, riuscito a superare il mio blocco mentale. Andare a vivere in città e frequentare ambienti differenti, come le varie realtà arrampicatorie cittadine, mi aveva aiutato molto nel cambiare la mia visione delle cose e farmi un’idea più ampia e complessa della situazione. in particolare ero riuscito ad accorgermi dell’errore di lettura che commettevo: quello di pensare che la gente scalasse in palestra per scelta, che davvero desiderasse essere in quel posto, piuttosto che altrove. Ma proprio interrogandomi su come mai io fossi finito di nuovo in quegli ambienti, la risposta era lapalissiana: se ero finito lì, vi ero a causa di forzanti esterne! se avessi potuto scegliere sarei sicuramente stato altrove, ma gli impegni della vita cittadina, piuttosto che una meteo particolarmente avversa, mi avevano costretto lì. quindi, ragionando per assurdo, potevo autoconvincermi che tutta quella gente che vedevo trafficare la palestra doveva essere lì per quel motivo. e sicuramente in un giorno di sole non ci sarebbe stato nessuno (lol).

oltre a cià era capitato anche che riuscissi pian pianino davvero a interiorizzare il concetto di arrampicata sportiva come un fine, un fine che giustificava e al contempo giustificato dalla logica dell’allenamento. scalare con gente votata in questo senso mi ha aiutato molto a riuscire a vederne la logica, a riuscire a intuire che una linea diretta verso un obbiettivo, che magari era all’esterno, poteva passare attraverso l’allenamento seriale specifico, a secco, su plastica o anche in falesia. lavorare i tiri, ad esempio, era qualcosa a me veramente estraneo fino a poco tempo fa. sono riuscito a inquadrarlo nell’ottica dell’allenamento solo di recente: lavorare per allenarsi, non per chiudere quel tiro! allora sì, diciamo, ho visto un po’ di luce in fondo al tunnel! (ricordo scendendo dal secondo raduno bal il luca V che mi faceva il paragone con le dimostrazioni dei teoremi: non basta capire il passo chiave, che comunque è fondamentale ed è l’obbiettivo: bisogna saper mettere in fila tutti i passaggi dal primo all’ultimo, solo allora il teorema sarà dimostrato. e nel ripetere n volte anche i semplici passaggi algebrici o analitici o chessòio, si interiorizzano anche quelli!)

dopo tutto questo percorso, il risultato era che ero riuscito a comprenderla, questa pratica di consumasi le dita sulla resina, addirittura le ultime volte che andavo a far blocchi riuscivo quasi a divertirmi: avevo cambiato atteggiamento mentale! adesso per me andare a far blocchi era l’occasione di svagare la mente dopo una giornata di studio, vedere gente forte e motivata che mi motivava a sua volta, sciallarmi su un materasso e far due chiacchiere, approfittarne per fare un po’ di stratching, e, soprattutto, divertirmi a provare dei blocchi. già perchè alla fine quello è quello che conta: far blocchi è divertente, e deve esserlo!
sono assolutamente contrario, per politica personale, a fare delle cose che non mi diano piacere, che non mi facciano divertire, per quanto riguarda l’ambito alpinistico/arrampicatorio. tutto quello che faccio deve essere bello e desiderato. inclusi i bivacchi al freddo e al gelo e le sveglie mattutine alle 4 e le discese in doppia col temporale. sono tutte cose scelte da me e che faccio volentieri e che tornerei a rifare! se invece dovessi un giorno mettermi di malavoglia a fare trazioni alla sbarra (ma anche andare a kalymnos una settimana), desiderando essere altrove, ecco, sarebbe la fine del mio alpinismo.

però insomma, dopo tempo e pensieri, ero riuscito a far quadrare in questo raggio anche i blocchi, era la mia occasione per riuscire magari davvero ad allenarmi un po’, per una volta, a non arrivare al solito alla base della via impreparato e sapere di non essere all’altezza delle difficoltà che mi aspettavano. avrei potuto per una volta provare ad “alzare il grado”!! (ahah!!)

e invece no. i fatti della vita mi hanno portato da tutt’altra parte e mi sono sciroppato diversi mesi di astinenza forzata (lì si che ho sofferto la lontananza, anche dalle sale boulder, per quanto fossi l’artefice, pure pienamente consapevole, di quella scelta) dall’attività alpinistica e arrampicatoria. dalle montagne no, visto che ho passato diverso tempo sulle ande, ma a fare altro, a guardare e non toccare, che forse era anche peggio.

insomma, oggi sono entrato al bside e.. ta dan! nei primi dieci minuti tutti i miei ragionamenti di autoconvincimento elaborati negli anni erano svaniti. vedevo questi ragazzotti, tutti più muscolosi e entusiasti di me, che prendevano a schiaffi i muri. e che all’apparenza non avevano proprio l’idea di come si potesse accarezzarla una tacca di granito. sembravano proprio fare un’altra cosa che l’arrampicata. e poi le pareti!: mi veniva, guardando ste pareti, da pensare a una parete reale che avesse quella forma. come sarebbe fatta? avrebbe delle fessure per proteggersi? che granito formerebbe un diedro così perfetto?

per un attimo ho tentennato. ho quasi pensato di scappare. ma non potevo: da un lato il desiderio di mettere le mani su quelle prese c’era, forte e vivo in me. tornare a muoversi appeso alle mie braccia. e poi i dannati impegni extracurriculari (riferito al curriculum alpinistico :D): le lezioni e l’università, domani mattina qua in città, non ci si scappa.

e allora mi sono messo lì, immaginando quei diedri fossero di granito e ho provato a muovere i primi passi. e poi pian pianino, nella testa, ho ripercorso tutto il ragionamento che mi ero dovuto inculcare e che alla fine aveva dato i suoi frutti. e questo, unito alla misera soddisfazione di chiudere qualche blocco (un verde e qualche bianco!! ahah!!) nonostante i mesi di letargo dei miei avambracci, mi ha ridato lo spirito.

dopodomani torno al bside e faccio i 10 ingressi.

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