Spiz d’Agnèr Nord – spigolo Oggioni

pubblico a spot un raccontino scritto di getto dopo una bella avventura dolomitica, con annesse vicissitudini impreviste, nei meandri dello spiz lonch, lo spiz nord d’agnèr. Provo anche, sotto, a relazionare il complesso avvicinamento, che manca nella relazione ben fatta dei ragazzi di oltrelavetta (qui e qui ), che ci ha portato in cima. Se cercate questa info è giù in fondo!

Si sono portati via il money.
No, non gli sbirri. Il soccorso alpino.
Se lo sono portati via, e gli hanno forse salvato la mano.
Ha perso due dita, sotto quella pietra gigante.
È stata una bella mazzata.

Però be, ecco, non potevamo dire di non saperlo che stavamo andando a cacciarci lassù.
Era la prima volta per me che dopo anni di corteggiamento, entravo davvero là, in quell’universo di posti selvaggi, ancestrali, fuori dal mondo. Che poi il mondo è la sotto, neanche così lontano. in linea d’aria poche centinai di metri. Senti i cani che abbaiano, vedi le macchine che passano. Però sei a diverse ore di cammino dalla civiltà. E questo fa in modo che quei posti li beh, ecco, per tanti versi, sono rimasti per certe cose incontaminati. Fatto salvo il passaggio di pochi alpinisti nella storia dell’umanità pochi altri esseri umani ci sono capitati. Tocchi delle rocce, scalando lassù, quando ti allontani dalla via di salita, che potresti essere il primo uomo in assoluto ad aver toccato quel buco.

E il selvaggio ti riporta a una dimensione anche di rischio. E questo mi sento anche di averlo rivendicato e oggi, al tiepido, di rivendicarlo ancora più forte. Questo rischio è l’essenza dell’alpinismo. Perché sottende il godimento di un certo tipo di ambiente. Se non ci fosse, se ci fosse una via ferrata o una funivia a portarti alla base dello spiz nord, beh, non avrebbe alcun senso per me andarci.
Scelgo di andare a cacciarmi in certi posti per scelta di ricerca di esplorazione, di selvaggio, di confronto. Quando sei in certi ambienti devi immergenti nella montagna, per capire, come muoverti, dove andare cosa fare. Ingegnarti per riuscire a scovare le strada, capire qual è la nicchia gialla. Magari sbagli e delle pietre cadono. Può succedere. Tante volte è successo, e forse il caso, forse chi lo sa, ha voluto che tu avessi fatto la sosta al riparo, che le pietre fossero piccole, che il rimbalzo ti avesse aiutato.
E allo stesso tempo vedere la forza con cui il money già ha accettato l’accaduto e ne ride e scherza mi fortifica molto. È parte dell’alpinismo, è parte della vita, accettare eventuali insidie, andare oltre, perché fanno parte del gioco. Di questo gioco un po’ matto che però in questo transitare nel mondo del vivente cerca di dare un senso alla nostra vita. Cosa dovremmo fare altrimenti? Rinchiuderci in degli uffici con l’aria condizionata per essere sicuri di prendere il raffreddore?

Si sono presi il money, dicevo. E ci hanno lasciati lì. Bel belli. In cima al canale. Un po’ ero contento, nel mio strano e perverso piacere per il solo fatto di essere nel posto più bello che mi veniva in mente. Fortuna ci han lasciato qua dopo 5 ore di avvicinamento!! ahah! :P Un po’, ovviamente, eravamo tutti scossi ed abbattuti per quanto successo.
Però ci siam legati e abbiamo iniziato a fare la cosa più naturale: scalare la parete enorme che avevamo di fronte a noi. Che era talmente enorme che neanche ce ne rendevamo bene conto. E via su per balze di roccia friabile e poi per diedri di bella roccia grigia. Cercando di non pensare all’accaduto, e di godersi la scalata. Cercando di intuire dove quei folli fossero andati e quanto forti fossero, Aste Solina e socio. Su su sempre più su.

Non ce l’abbiamo fatta a uscire in giornata e ci siamo fatti un altro bel bivacco sotto le stelle: ancora più lontani dalla civiltà, ancora più vicini alla bellezza. È stato strano. Perché c’era, sì, questo sentimento di pesantezza per quanto avvenuto. C’era anche un’inquietudine per essere ancora solo a metà parete. Però, per me, c’era anche tanta gioia di essere dove eravamo. Su una via bella vera grande lunga seria. Nell’ambiente più bello. Quelle dolomiti che ovunque guardi è estasi, di colori di pareti di sereno. Di bellezza della natura. E quindi alla sera, che un po’ avevamo metabolizzato, e un po’ eravamo anche stanchi ma anche entrati nella scalata già la mia mente si era rasserenata. La sera prima, dormendo alla base della parete, all’oscuro di tutto quello che sarebbe successo, spiavo dal sacco a pelo e vedevo questo enorme lenzuolo d’argento che è lo spiz d’Agnèr nord. Una piramidona gigante, incorniciata da una stellata stupenda. L’ho guardato per un po’. E godevo di meraviglia. Per dove eravamo. Per quello che stavamo facendo. Quanto il tempo che sogni e parli e studi certi posti e certe pareti. Ma poi quando ci vai sono attimi. E sei sempre concentrato. E li invece avevo modo e possibilità di godere, di assaporare.. il gusto di essere lì! E mi dicevo: pensa, che pazzi scatenati siamo: 5 ore con uno zaino pesante su degli zoccoli esposti. A far calate, cenge, tiri. Pensavo a una persona normale alla quale proponessi di andare li, nell’anfiteatro dello spiz nord. Vedevo la sua faccia del tipo “semmaaaatt!!?”. Pensavo a una madre che dice raccomandazioni random al figlio al parco giochi, tipo “non correre sulla salita che ti fai male”. E noi dove ci eravamo andati a cacciare. Tutto questo pensavo, e gustavo l’inutilità della nostra follia. Eravamo quattro stronzi, con storie diverse, situazioni diverse, vite lontane, ma ci eravamo incontrati li, nel posto più bello, la valle di san lucano, per andare su là in quell’anfiteatro, a vedere e godere della bellezza di quella piramidona, che spiavo fuori dal sacco a pelo.

E per un attimo, guardando quelle stelle, dei tantissimi interrogativi con cui mi addormento tutte le sere, una piccola cosa lì era chiara: quella bellezza, che fluiva da quella parete, mi faceva stare bene.
E lo stesso,bene o male, pensavo anche la sera dopo, sul nostro sasso da bivacco incastrato a metà parete, sotto il tiro duro. dentro quello stesso sacco a pelo. L’incidente, ok, però eravamo là cazzo. A dormire a metà parete, su uno spigolo degli spigoli, con roccia fotonica a buchi sopra la nostra testa e ancora metri da cavalcare. Non avrei voluto essere da nessun’altra parte! Per me dormire in montagna è un apice del godimento. È estenderlo anche alla notte, e se puoi farlo perché no? Perché limitare la bellezza al tempo della luce?

E lo stesso stare bene lo pensavo anche quando le ultime doppie ci calavano pian piano verso i declivi pratosi di malga agnèr, quando eravamo tentati di cercare i funghi ma non avevamo neanche la forza per stare in piedi. E quando in vetta ci siamo abbracciati, e abbiamo mangiato quelle due mandorle che erano il nostro pranzo.

E quando il giorno dopo facevo stretching, dopo essermi fatto un bagno nel fiume. L’avevo fatto anche prima di salire. Come rito purificatorio, prima di immergermi nelle pieghe dello spizzòn. Così il giorno dopo, ho fatto un bagno, ho salutato gli altri e mi sono messo sul mio tappetino, a guardarlo dal basso. E mi sono sentito una formichina. E mi sono sentito di godere, tanto di essere qui ora al bello, quanto anche di essere stato là prima.

RELAZIONE AVVICINAMENTO ALLO SPIZ NORD D’AGNER

disclaimer d’obbligo: relazionare questo tipo di avvicinamento è impresa ardita. Ognuno andrà a cacciarsi in qualche modo in posti diversi, troverà condizioni e situazioni diverse della montagna e prevalentemente al fiuto alpinitico del singolo deve restare la priorità nella decisione sulla strada da prendere, che è poi anche il senso del cercare itinerari d’esplorazione. tuttavia se voleste una traccia sul dove cacciarsi, provo a darvi qualche dritta di quel che noi abbiamo fatto per arrivare all’attacco.

1.raggiungere il bivacco cozzolino. E fin qua, tutto ok.
2.risalire un pezzo il canalone che separa la nord-est dell’agnèr dallo spiz nord: dal bivacco, continuare a salire portandosi circa nel centro del canale (possibile presenza nevaio a inizio stagione?): un grosso “sperone” viene a marcare due canali sui bordi di detto canale: noi abbiamo preso quello di sx faccia a monte (lato spiz nord per intenderci). Lo si risale con semplici passi di II finché diviene pressochè obbligatorio salire una paretina sulla nostra destra, su roccia un po’ più bella, ma con passi leggermente più impegnativi (III?). Si rimonta quindi di nuovo nel canale principale e si prosegue brevemente individuando ora sopra di noi, in alto a sx, il sistema di cenge che porta al colletto (prima non erano visibili, da sotto, in quanto sopra un grande strapiombo)
3. rimontare sulla cengia: con passi di arrampicata su roccia discreta si rimonta verso la cengia suddetta: i passaggi sono inizialmente più semplici per diventare in ultimo non banali (IV?) se presi frontalmente come fatto da noi (attaccato la paretina nei presi di un ometto). Noi abbiamo fatto un tirello per superare lo strapiombetto finale, forse conviene prepararsi già con le corde fuori e l’imbrago.
4. percorrere la cengia fino al colletto: si percorre, inizialmente agilmente, su traccia di sentiero la cengia evidente (prato) fino a incontrare un canalone rossastro molto friabile. Alcune relazioni propongono di attraversarlo (!!), noi preferiamo salire di una decina di meri a un pulpito dove c’è una calata su spuntone (lasciata fettuccia in aggiunta ai vecchi cordoni). Da qui ci si cala (30m?) sul fronte opposto raggiungendo altra zona pratosa. Si continua camminando in direzione di un larice, dove di nuovo delle roccette sbarrano la strada (alti verso la parete, traccia). Qui noi optiamo per fare un altro tirello che con un paio di passi di III ci porta in un canaletto erboso da cui si accede al colletto che guarda l’anfiteatro dello spiz nord.
5.discesa nell’anfiteatro: si scende per gradoni e facile arrampicata (II) nel punto più logico, una ventina di metri dallo spigolo direz nord, per un canaletto (evidente) fino ai pendii pratosi sottostanti. Qui sulla dx, a ridosso della paretina appena scesa, c’è uno dei pochi posti da bivacco comodi dell’anfiteatro.
6.attraversare l’anfiteatro su ghiaie fino all’evidentissimo canale tra lo spiz piccol e lo spiz nord.
7. risalire detto canale: inizialmente per roccette, diventa gradualmente più difficile: un primo caminetto e poi un altro camino umido sbarrano la strada e vanno superati con passaggi non banali (IV/V) (noi fatti due tiri di corda). Quindi più facilmente (III) ci si porta fino alla forcella di destra, appena oltre la quale ha inizio lo spigolo oggioni.

Commento personale sulla via:
è un bel viaggione! La roccia, a parte nei primissimi tiri, è quasi sempre bella e in alto spaziale! Si scala su placche a buchi di roccia super e sempre proteggibile! (ovviamente c’è da far ballare l’occhio in alcuni punti ma non lo dico neanche). La linea non sempre è evidentissima, specie nella parte alta. Noi abbiam seguito la relaz di oltre la vetta (vedi incipit per il link se rimarrà nell’etere dell’internet) e abbiamo trovato circa la metà dei tiri, che è buono su una parete del genere direi! In ogni caso la linea segue l’evidente spigolo quindi ci si raccapezza tutto sommato. La discesa anche non è scontata, ma pensavo peggio, tutto sommato è abbastanza tracciata ed evidente e noi (fine stagione?) abbiam trovato parecchi ometti. In sintesi una linea super su una montagna super, in posti selvaggi, per amanti del selvatico!

Logistica generale: noi abbiam dormito nell’anfiteatro e poi alla base del tiro di VI+ causa vicissitudini varie. Volendo comunque in alto ci sono parecchi posti da bivacco da quando la parete spiana (a 3 / 4 tiri dalla vetta per intenderci). La discesa anche è lunghetta (3 o 4 ore dalla vetta a malga agnèr), difficile da trovare con buio o scarsa visibilità se no si conosce la zona: da non sottovalutare. anche qui comunque possibilità di bivaccare in diversi punti eventualmente. Non si trova acqua mai fino alla malga in tutto il percorso in questa stagione (agosto).

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