c’è una frase di un’arcinota canzone credo di j-ax che dice qualcosa tipo:
“tutto quello che amo fare è immorale e illegale.”
l’ho sempre considerata una verità e un dato di fatto e non vi ho mai dato tanto peso. poi l’altro giorno la passavano in radio mentre erevamo in macchina e ho iniziato a svarionarci: l’auto era quella di una tizia stragentile che ci aveva caricato in autostop verso valbondione. verso la macchina, tanto agognata macchina, lasciata a valbond, per salire al coca e che adesso riraggiungevamo via terra da fiumenero, dopo essere passati per la bocchetta di scais.
sul fatto che “tutto quello che amo fare è illegale” c’è poco da dire. ormai anche l’alpinismo non ci scappa, dopo che maroni è riuscito a farci una bella leggina ad hoc e io e il socio senz’arva eravamo illegali anche a scorrazzare per le orobie. girare a piedi, dico, senza fare del male a nessuno (se non a noi stessi, che poche ore prima stavamo spiattellandoci sotto il peso dei nostri zaini sprofondando fino alle anche nella neve marcia)! ma fin qua tutto bene, sono abituato a fare cose che, pur apportando del bene all’umanità, altro che fare del male a qualcuno, sono illegali.
invece sull’immorale ci pensavo, in quella yaris che sfrecciava per l’alta valle seriana. perchè era strano: tante volte avevo fatto autostop nella mia vita. anzi neanche troppe. e non era illegale, anche se di fatto la pattuglia di sbirri era arrivata a ricordarci che “il giusto” era avere un’auto e pagare il bollo, oppure pagare palancate a trenitaglia. e l’illegale l’avevano inventato ad hoc, che tanto loro possono. comunque. eppure non lo avrebbe dovuto essere. ma immorale lo era invece. e lo è. scendete in strada, in provincia di bergamo, ma in pressochè qualsiasi provincia d’italia e fate autostop. ne avrete la dimostrazione. se fai autostop sei o un pAnkabbestia o un pezzente o un perdente. ecco, un perdente. ed è una cosa molto italiana questa, non è sempre così all’estero. ma in italia sì. e figurati se ti caricano. o meglio alla 50esima macchina trovi qualcuno che in opassatom in tempi remoti, gli è capitato di restare a piedi, ha dovuto fare autostop e allora per solidareità col suo passato e il suo kharma ti carica.
invece quella yaris si era fermata subito. era la prima macchina che passava. sfrecciava a notevole velocità. aveva guardato, visto i nostri zaini e picche e caschi. e si era fermata. chissà cos’è il trucco! avevo sempre creduto fossero le corde, l’attrezzo da mettere in mostra per convincere a prenderti in autostop. ma li no, le avevamo entrambi nello zaino. ma la tipa ha capito lo stesso. ha capito cosa? che eravamo alpinisti. e allora eravamo “nel bene”. già. non eravamo più immorali, ma di colpo passavamo da derelitti della società e zecche puzzolenti che fanno autostop, a valorosi alpinisti che sfidano la morte sui monti. che poi sono sempre io, mi dico. che stia tornando da un concerto, andando a zappare l’orto o a fare una vietta in redorta. cosa gli cambia? se torno dal redorta puzzo pure di sudato e di marciume! e invece no. se hai un paio di picche, non vieni riconosciuto come il potenziale realmente pericoloso terrorista che sei con delle armi al seguito, bensì passi nella sfera della gente per bene. che mi verrebbe da dirglielo, che sono in realtà forse anche un punkabbestia nella vita, e lei non può saperlo.
super gentile, la tizia è della valle e non dubitavo ci avrebbe preso, anche simpatica, ci raccontiamo le due storie solite dell’autostop giusto in tempo di arrivare alla nostra macchina. chiunque non ci avesse (avrebbe?) caricato, sicuro sarebbe stato un forestiero col suv, poco avvezzo alla solidarietà valligiana. tuttavia ero sinceramente sorpreso dalla facilità con la quale eravamo stati caricati.
e dopo, davanti alla pizza ci pensavo: adesso che siamo senza attrezzi, ma siamo vestiti ancora tecnici e puzziamo, la cameriera, si accorgerà che siamo alpinisti? e in quanto tali, si farà un’idea diversa di noi? e ci tratterà per questo in maniera differente? e io, preferisco essere riconosciuto come alpinista o no? sono contento che la gente faccia questo genere di preferenze?
lascio le risposte al buonsenso e vado a vomitare su una società che può inventare una situazione del genere. ma effettivamente un altro dubbio un po’ mi resta: come cazzo è possibile che gli alpinisti, che davvero spesso sono gente semplice e dura, che capita abbiano dei valori e delle idee, siano visti così bene dalla società? di solito la gente che ha delle idee e vive in maneira coerente a esse è malvista e solitamente emarginata e vessata, se non espulsa. invece questo è un piccolo caso strano, e indagarne le cause a volte penso possa essere curioso, e allora faccio questo esercizio per diletto mentre guardo i panorami elettrici della pianura padana dietro il guard rail dell’a4.
di conclusioni ben strutturate non ne trovo, trovo bocconcini, spunti di riflessione. penso che nonostante si cerchi di tenere l’alpinismo quanto mai elitario (si pensi solo ai costi che uno deve affrontare per riuscire a mettere insieme mezza salita! dall’attrezzatura agli spostamenti!) eppure, c’è l’eppure di modelli che raggiungevano le pareti in bici, con attrezzatura anteguerra (spesso era quasi, effettivamente, l’anteguerra ;D) e facevano imprese titaniche. ed erano considerati bene, non bastavano a distruggere l’immagine dell’alpinista. e anche oggi l’alpinismo, che resta indubbiamente un’attività per ricchi, apre, per bachi del sistema, delle nicchie di se stesso a tutti: si può racimolare una corda e un paio di scarpette trafugandoli da qualche parte e andare a fare fior di vie in montagna, magari scalando lunghi sulle protezioni perchè non si ha da integrare. ma restare se stessi. senza vendersi e inchinarsi! e magari anche risucire a vivere l’alpinismo come attività libertaria? (lascio il punto di domanda). resta che la gente esterna al mondo dell’alpinismo non riesce a distinguere, e i suoi modelli sono nobili. e tu, che sei simile a loro, per questo sei nel giusto! pazzesco no?
ma torniamo al redorta. fortuna che scrivo a freddo di un paio di settimane per dimenticarmi la sofferenza. fortuna che sono già nel frattempo andato strisciare come un serpente nelle fessure offwidth della valle orco, ad assaggiare altra sofferenza (psicologica) che mi ha un po’ fatto dimenticare la discesa al brunone (fisica oltremodo fisica). perchè è stata veramente dura. e vorrei raccontare di questa salita, che è sicuramente stata una gran bella esperienza orobica, quantomeno in maniera dignitosa. e non blaterare solo sofferenza e fatica. :D perchè l’alpinismo è sofferenza, e per questo ci deve piacere. questo di solito sostengo. mi sono maledetto qualche miliardo di volte per averlo mai pensato, scendendo verso il brunone, ma ora, a freddo, posso tornare almeno a far finta di sostenerlo. :D
partiamo da valbondione con le frontali, zigzaghiamo tra i cartelli delle aree boulder che hanno ormai mimetizzato i cartelli cai per il coca e ci avviamo in su, verso l’oscurità. ero scettico sull’andare in redorta, devo dirlo. pensavo: sticazzi, facciamo una robetta in giornata dai.. ma il socio inflessibile neanche prende in considerazione il bagozza che gli lancio come provocazione: vuole andare in redorta. e se non vado io mi viene a prendere! quindi: comandi capitano! strano, sono abituato a essere io quello invasato e carico, invece qua c’è chi mi supera: chapeau! :D
saliamo lemmi lemmi, nella parte alta c’è neve, si sfonda, si perde la traccia, al buio. alla fine, finalmente la sagoma del rifugio. a fare gli ultimi 200 metri ci terremo credo mezzora: si sfonda secchi fino sopra il ginocchio. “domattina vecio” gli dico prima di entrare nell’invernale ” metto un piede fuori: se passa giù, e non ha rigelato, mi arrendo e torniamo a valbond e ti offro la colazione!”. impossibile salire con quelle condizioni!
ore 4 in punto, ora di sonno trascorse 3 e mezza, sento addirittura la sveglia. rotolo giù ed eseguo il test: fallimento totale: mi ritrovo a pisciare con la neve sopra il ginocchio.
ma il socio è già pronto vestito, poco manca che abbia già le picche in mano. e allora via, vai vai vai pure, proviamo! batti traccia, che io pian piano ti seguo!” e allora via iniziamo a infilare uno dietro l’altro qualche miliardo di passi nella neve marciotta, che in qualche tratto girato un po’ male ti illude per due o tre passi di reggere un po’ e poi torna a essere la meretrice che era tre passi prima. provo a battere traccia, provo a non pensare, provo a pensare ad altro, provo a immaginare che la neve sia un’illusione e che la fatica sia solo un’invenzione umana. mi sembra invece piuttosto che la conca sia immensa e mi sento il pipottino del game boy che non si muove mai e tutto intorno a lui è un’invenzione e se lo fissi è fermo. in realtà è fermo. penso di essere fermo e vorrei spronfondare.
io: “se il conoide sfonda vecchio, io mi arrendo, te lo dico!”
lui: “no ma facciamo ancora un pezzetto, vedrai che poi su regge!”
-“si immagino! e a scendere?!”
-” no a scendere tanto è a ovest no? ”
-“no mi sembra sia a sud vecio!”
-“ma come se questa è la est e si scende di là!”
-“non ho neanche la forza di pensarci, dai andiam su sto pezzettino che vien giorno qua!”
alla fine. ma proprio dopo i titoli di coda e tutto dico, arriviamo a sto cazzo di primo tiro, che non c’è. lo sapevamo. o meglio, lui aveva visto le foto su facebook, e sapeva che il primo tiro non c’era. allora via su roccette e neve marcia li a fianco. “vai tu vai tu vai tranqui!” intanto che lui ravana, mi addormento. poi finalmente passa fuori e allora devo dargli i metri a garganella e devo svegliarmi proprio per dargli manate di corda. sento da giu i suoi giudizi a voce alta sulla roccia orobica mentre cerca di far sosta. quindi lo seguo: finalmente ci si diverte un po’! il tiro è carino, un paio di bei ribaltamenti delicati, qualche incastro di picca, finalmente pane per i nostri denti.
adesso c’è un tiro strano: nno si capisce: sembra ghiaccio cotto: ci sono diverse potenziali linee di salita ma il ghiaccio/neve non da troppo fiducia. parto scettico, nonostante il socio cerchi di convincermi a lasciarlo andare: “se non te la senti.. sei stanco.. tranquillo.. non so come sia il ghiaccio.. ” “tranqui vez, lascia fare, vado a vedere ,al massimo torno giù e lascio andar su te! :D” così parto, con una fiducia nella qualità del ghiaccio tale che lascio i tappini alle due viti che ho preso su. mi infilo nel fondo del canale, salgo un po’ a camino e trovo del’ottimo ghiaccio: cazzo è verticale però! metto una vitina (previa rimozione coi denti del tappino!) e via, faccio quelle quattro o cinque sbracciate sul verticale, in traverso ascendente verso sinistra, appena sopra il ghiaccio marcio, e salto fuori dal muretto, sticazzi!! metto l’altra vite che ho perchè c’è un altro risaltino strapiombante e devo mettere qualcosa per forza! salto fuori e, fantastico: non ho più mezza protezione, sono in una sorta di antro tutto bianco di neve ventata e ghiaccio, tipo un camino ghiacciato, con da un lato una cascata, dall’altro roccia orobica schizzata di ghiaccio, stile siula chico. che cazzo faccio che non ho più mezza vite? vado in fondo al camino, scavo un po’, trovo della roccia, metto un chiodino e un friend rispetivamente a dx e a sx di uno stesso sasso incastrato et voilà, un’ottima sosta! sopra di me delle fantastiche candelozze lunghe 3 o 4 metri incombono e proprio in quel mentre esce il primo sole della giornata, (non perchè fosse notte, quanto perchè era nuvoloso!). dico al socio, duro e in fretta che qua non è proprio il massimo, sono nell’antro e al riparo, ma insomma, meglio levarsi da sta situescion! allora arriva anche quell’altro gasato dalla fighezza del tiro arriva estasiato in sosta, riparte su da quel camino/spigolo ghiacciato, con due o tre spiccozzate molto delicate salta fuori e mi recupera su nel canale. che spettacolo!
c’è ancora un bel saltino bello erto, che mi sciroppo con calma: finalmente ho un po’ di pace interiore e posso godermelo a pieno: muretto verticale, poi candelozza attaccata giù: passo dentro o fuori? fuori dovrei fare dei numeri e di la c’è neve marciotta: opto per l’interno che è più figo ed è una protezione indistruttibile una volta passato. spacco un po’, allargo il buco, ma lo zaino comunque non passa: allora lo tolgo, striscio e lo recupero. altro murettino verticale/strapiombante di qualche metro dove metto a frutto le ore di stretching sempre pensate e mai fatte nelle settimane precedenti e al limite da crampi, in qualche maniera salto fuori. sosta orobica su friendoni in una fessura quasi buona, recupero il socio ed eccoci. via le corde e su per il canale… sorpresa, indovinate un po’..? si sfonda!
ma c’è il coca là di fronte che ti dà la spinta, e quasi ormai l’idea di arrivare non ti fa sentire la fatica: allora su dal canalino; cercando i salti rocciosi, che sulla roccia almeno si progredisce! crestina nevosa, traversino sfondoso, e poi il tua. e anche nel tua si sfonda, anche se un po’ meno. è forse l’unico pezzo dove non si sfonda così tanto! e allora arranchiamo faticosamente su per il tua, che anche lui sembra non finire mai!
ma alla fine la bocchetta arriva e mi ci butto oltre a pesce: riposo, sciallanza, qualche goccia d’acqua, qualche pezzo di barretta (non birretta eh, magari!), bella storia! arriva anche il mio compare, ormai anche lui abbastanza provato: selfie di vetta che almeno non pensiamo al dopo. qualche minuto di pace e poi pian piano ci raccapezziamo per prepararci alla discesa: dalla valtellina, tranquilli, in maglietta salgono un paio di skialpers: che invidia!!
per noi invece inizia la parte più terribile: un bel po’ di ore sfondando a tratti fino alle anche, a tratti solo fino al ginocchio. ho un bastoncino senza piattello, e ogni passo o due mi ci appoggio e cado nella neve con le mani.. momenti di sano delirio, le bestemmie hanno fatto il loro tempo, non ci resta che ridere della nostra condizione ridicola e continuare a non demordere. e così, non so con che forza d’animo arriviamo al brunone, che non si vede mai ma proprio mai ma proprio mai che quando lo vedi ti sembra lì ma non arriva mai ma proprio mai mai mai. e quando arriva ci buttiamo sul muretto, sgombro dalla neve e il socio mi dice che vuole dormire: “vecchio son le 4 ci mancano ancora un po’ di ore senza sapere il sentiero e vuoi dormire?” faccio a tempo a finire la frase che lui stesso mi sveglia: mi ero addormentato secco per 10 minuti e già stavo sognando!! ahah! :D
ci ripigliamo un attimo, finiamo le ultime gocce d’acqua della borraccia osservando le scariche pomeridiane dei pendii intorn oa noi e poi iniziamo la ricerca del sentiero: se fio ad ora c’era stata una specie di traccia di qualche giorno prima, ovviamente non portante ma almeno di segnalazione, ora non c’è piu nulla. io l’ho fatta un paio di volte ma sempre senza neve: so che il sentiero scende all’incirca lungo il torrente, allora iniziamo a scendere cercando la via più logica, tra placche rocciose coperte da neve non portante e prati di erba scivolosa e bagnata a volte scoperti a volte coperti. poi, finalmente un segno: becchiamo il sentiero! bella! non possiamo perderlo: allora cerchiamo sotto la neve di coglierne il senso e la direzione e pian piano scendiamo verso il fondovalle.
finalmente arriviamo alla fine della neve: non sembra vero camminare sul duro, sembra di volare! l’ultimo tratto anche, fino a fiumenero, che è quello che non finisce mai, ci sembra incredibilmente lungo ma ci sembra di andare velocissimo, anche se a questo punto penso la nostra progressione sia talmente lenta vista dall’esterno da essere ridicola. :D esausti ci fermiamo alla zona di blocchi dopo il ponticello: piuttosto che camminare ancora iniziamo a cercare linee in un blocco e ne proviamo addirittura un paio (veramente fighe tra l’altro :D)con gli scarponi da cascata! ahah (scarponi che tra l’altro ogni tot io mi fermo a svuotare dall’acqua che contengono!)
poi di nuovo lo zaino e il trotterellio, e ormai la pace inizia a entrare, anche sopra la stanchezza, perchè si intravede la civiltà, che tanto ti fa schifo, ma che è lì a portata con le sue comodità e le sue birre e i suoi pregiudizi e la sua legalità e la sua morale.
…e poi arriva una yaris ci vede e ci carica…
e in radio passano j-ax. pensa, j-ax! ahah! :D