fiordalisi fioriti

i post descrittivi non li sopporto. con le descrizioni ho sempre avutuo un rapporto abbastanza negativo.
forse per spirito pratico, quando, leggendo, mi imbatto in una sezione meramente descrittiva, di solito la salto a piè pari. non è un qualcosa di voluto, ma proprio non riesco a darvi peso. nonostante poi, quando sforzandomi riesco ad immergermi in quelle righe, riesca ad assaporarne l’essenza. faccio proprio fatica. e infatti alcuni dei testi che ritengo fondamentali in quella che è la mia, misera, formazione letteraria li ho sofferti un sacco: a partire dagli stati d’animo dostoevskijani, che però già avevano un qualcosa di più psicologico e quindi si lasciavano apprezzare di più, fino alle interminabili giornate tropicali di garcia marquez! alcune storie di quest’ultimo proprio non ce l’ho fatta a finirle: era bello arrivare là e, aprendo il libro ritrovarsi tra i colori e i profumi della foresta, magari sulla riva di una lento e odoroso fiume. era bello, ma bo, a leggere oltre non riuscivo, era davvero difficile. anche cent’anni di solitudine, nonostante continui a ritenerlo uno dei pochissimi libri che rileggerei domani, ricordo di averlo subito un sacco.lo rileggerei si, ma con lo spirito con cui torni a fare un giro in bici che ti era piaciuto per i paesaggi, per l’ambiente, per la soddisfazione di arrivare in cima, ma che ti aveva fatto sputare l’anima!

comunque i post descrittivi, dicevo, mi scoccia scriverli. perchè già non riesco a leggerli, figuriamoci se li scrivo cosa ne vien fuori. ma è difficile evitare sempre le descrizioni. sono come i passi di spalmo su granito: puoi evitare le vie tutte di spalmo, ma se giri e rigiri qualche tiro di spalmo ti capiterà prima o poi. e allora via, lo affronti e lo distruggi. ma mentre ne esci ti riprometti di controllare meglio la relazione la prossima volta. e puntualmente la volta dopo ti dici che bo alla fine un paio di tiri di spalmo non sono poi questa condanna. e ti ci ritroverai puntualmente. non c’è modo di scamparvi.
specie perchè spesso la tentazione arriva, come quella di scrivere cose descrittive. e questo è dovuto alla natura del sentimento che ti spinge a scrivere: di solito uno vuole raccontare o a) delle storie, oppure b)dei sentimenti. il caso due, a mio parere è molto più interessante, anche proprio come sfida per te stesso che ti siedi davanti alla tastiera e devi inventarti un linguaggio che traduca in caratteri un qualcosa che non è ben definito neanche a te stesso. e tra i sentimenti che mi viene da raccontare ce ne sono alcuni più ricorrenti: il primo è sicuramente la rabbia. la rabbia. bellissimo argomento. che ha mille sfaccettature, ma, proprio scrivendo, ti rendi conto che è sempre lei, gonfia di orgoglio e energia, un’energia prorompente e difficile da contenere, quindi ancor più da descrivere. a gareggiare con la rabbia c’è la confusione: vorrei spesso scrivere a riguardo. ma che è troppo difficile. ho degli aborti nella mia cartella. degli aborti di confusione: testi illeggibili, senza filo logico, senza un dunque, con introduzioni lunghissime, e a volte infinite, e mai una fine. mai proprio. o magari delle domande come finale. tipo questo post qua, forse, che si colloca a metà tra la confusione e un altro dei classici temi sentimentali, che, sempre sul podio, a parimerito con rabbia e confusione, forse più plaisir, ma non per questo più facile: si chiama bellezza.

la bellezza è il tipico tema che vorresti raccontare. e lo vorresti raccontare per condividerla, per rendere partecipi, per coinvolgere e per consigliare. è un tema altruista, in un certo senso. perchè la rabbia la scrivo per me stesso, la bellezza sì, la scrivo per me, ma bo, come dire, io l’ho già vissuta forse. o meglio, magari la scrivi anche per riviverla e reassaporarne alcuni aspetti. chi lo sà! però mi viene da scriverla, questo è il punto. e soprattutto il punto è che mi viene da “de”scriverla. e da qui la tentazione di scrivere post descrittivi. il problema è che la bellezza bo, uno la scopre osservando, di solito. o meglio. è uno di quesi sentimenti che ti sovvengono dall’esterno, a partire da un fattore esterno. che può essere, ad esempio, una piccola cosa (un oggetto fuori posto, un oggetto strano, un animale in una certa situazione), ma anche, a volte, un quadro d’insieme (un paesaggio alpino, una fessura nel cuore di uno scudo). e poi, la bellezza, appena ti colpisce, diventa una sorta di stato d’animo, un filtro attraverso il quale guardare le cose: appena ti accorgi che intorno a te c’è bellezza, tutto inizia a sembrare più armonico. tutto acquista una sua logica, un tocco di classe, un perchè per essere l’ì, in quel momento, a coronare una scena di bellezza. come in un quadro, come in un film: tutto sembra perfettamente calcolato, e, anche se non lo è, è proprio l’elemento di casualità, che si fonde con la perfezione del tutto, che gli conferisce uno status di perfezione.

tutto ciò per colpa di dei fiordalisi. che non so neanche se fossero dei fiordalisi in realtà, ma mi piace pensare che lo fossero. non perchè mi piacciano come fiore i fiordalisi, quanto perchè mi piace l’idea di caratterizzare un fiore con il suo nome specifico. e di farlo in un racconto in cui potrei dire semplicemente la parola “fiore” e tutto filerebbe liscio, ma sembrebbe molto più generico. c’erano questi fiordalisi, dicevo, piantati tutti in fila in un perfetto orto curatissimo. e io ero in modalità “la bellezza si è impossessata di me e tutto quello che vedo sembra incantevole”. e questo orto, in realtà era un orto normale, sul bordo di una strada di periferia, a pochi km da torino centro. ma forse che era una valletta particolarmente isolata, forse che era un momento della sera perticolarmente propizio al vagare della mente e le nuvole di penseiri nella mia testa erano disposte secondo una qualche particolare logica astrale. forse, soprattutto che, d’improvviso, era scomparso il rumore dal traffico. completamente: girando l’ennesimo ripidissimo tornante, era arrivato un compagno nuovo, il silenzio. era stato lui ad attivare la modalità “vedobello”.

ed ecco che, allora, una casa di un inguardabile color verde acqua, pare di colpo carina, e così le farfalle giganti di ferro appiccicate sul muro; i panni stesi a un balcone si mostrano nella loro armonia di colori; e il cielo. anche lui, identico a un attimo prima ha un che di più sfumato e apprezzabile. e poi, appunti, quei fiori, quei normalissimi fiori, bo, li avrei volentieri raccontati a qualcuno. ma raccontarli era descrittivo. forse questo ho pensato in quel momento. e allora ho pensato che avesse più senso raccontarli attraverso il pensiero che mi era venuto appena dopo, nonostante fosse molto pessimista, e forse poco adatto a raccontare la bellezza.

pensai che coltivare i fiori era un’attività totalmente collegata alla bellezza. e a nient’altro. perchè coltivando fiordalisi non mangi (a meno di essere così capitalista da volerli vendere che è la cosa più triste per un fiore, essere scambiato per del denaro). non mangi, però stai bene quando li vedi. questo è il motivo per cui uno coltiva dei fiori. ed è una grande differenza che noti appena ti muovi fuori dalla città, verso i paesini, dove la vita rallenta. dove la frequenza diminuisce e le persone si fermano al bar a far due chiacchiere eccetera, insomma, siamo intesi. rallenta così tanto che la gente trova anche il tempo di coltivare i fiori. mentre io e i miei coetanei, pensavo, quei cinque minuti al giorno che ti chiede un fiordaliso, per essere annaffiato, e magari un minimo curato, li passiamo su fb. e allora, pensavo, tra una trentina (?) d’anni addio fiori e fiordalisi. almeno, addio a quelli che tenuti nei giardini e nelle case. resteranno solo i fiori di campo, quelli naturali. sempre se resteranno ancora dei prati, che non è per nulla scontato. leggevo recentemente nonricordodove che nelle alpi abbiamo una grandissima fetta di tutti i fiori che ci stanno in europa. ma chi se li caga a oggi i fiori? il turista di turno che fa una foto alla stella alpina? ok, ci sta. questa attenzione dura qualche secondo, e poi la foto rimpiazza il fiore stesso nella lista delle attenzioni.

questo è stato il pensiero sulla bellezza che mi hanno lasciato quei fiori. un’immagine di un mondo triste senza fiori, dove la gente disinteressata alla bellezza li abbandonava alla loro solitudine. ma non era un pensiero triste. era un pensiero di bellezza, sulla caducità della bellezza e sulla sua importanza. ma è difficile da spiegare. forse era più facile descriverli quei bei fiori. e basta. che poi non erano neanche troppo belli. o forse, ancora meglio, era sufficiente fare una fotina e metterla su instagram.

solo che poi sarei andato a vedere le visualizzazioni sottraendo tempo alla cura dei miei fiori. che bo, al momento non ne ho di veri e propri fiori, ma ognuno ha i suoi fiori, qualsiasi forma questi abbiano.

nota1 prima di pubblicare ho curiosato sul gugol e effettivamente non erano assolutamente fiordalisi ma erano gladioli. azzeccato al secondo colpo. non male (;D)
nota2: questo post l’ho iniziato a scrivere a caso per creare un file di testo sul quale testare un cazzo di programmino che stavo provando a inventare per l’esame di informatica che ho lunedì. il programmino aveva come scopo quello d icontare quante volte avevo usato una certa parola. di qui l’idea di abusare delle parole bekllezza, fiori, fiordalisi. ecc. alla fine come al solito mi son fatto prendere la mano e il programma non sono neanche riuscito, per ora, a farlo funzionare che sono una capra e non so usare il terminale di ubuntu per dare istruzioni decenti al mio povero programmino in C. amen. e che l’informatica sia con voi.

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