ti guardi intorno. perchè quei 5 fogli che hai davanti li hai gia letti e riletti; e ne hai ricavato abbastanza poco. ti guardi in giro e la prof giù in fondo ha gia capito che se hai tempo per guardare in aria hai poco da scrivere. e sarà dura che passerai l’esame.
sono li seduto, tutti gli altri scrivono, piegati sui loro fogli di protocollo. in questa situazioni penso molto, sono a mio agio. mi interrogo, ad esempio, sul valore che do al tempo. ho quattro schifosi appelli all’anno. questo era uno di quelli, e me ne sto qua a bighellonare. non so cavare un ragno dal buco. questi affascinanti esercizi di termocinetica sono sì stimolanti e curiosi. ma sono anche impestati. e ci avevo detto che le relazioni ce le avrebbero date, ed ero così tranquillo che non ho neanche fatto i bigliettini. e allora bo, forse mi stanno prendendo in giro. o forse ho sbagliato tutto nella vita ed era meglio essere su un cantiere a spostare sacchi di cemento. oppure semplicemente è anche questo il bello dell’ingengneria. la sua capacità di farti abbassare la testa. come la valle dei mulini e le sue gradazioni old style. se non studi c’è poco da fare. se non ti impegni non vai lontano. se non ti alleni, sarà dura alzarsi da terra. a me viene naturale vederla in quest’ultima ottica. e questi momenti me li gusto appieno. mi sento vivo, mi sentio li, sul momento, nel posto giusto al momento giusto, ma non mi sono preparato abbastanza. però insomma lo sapevo, ho scelto io di venirci. e mi voglio vivere questi istanti, godere la mia incapacità, che un giorno potrò con orgoglio dire di aver superato.
io solitamente la vedo così. come una cosa perfettamente normale. al prossimo appello vedrò di arrivare piu incazzato, piu deciso e piu pronto. coì da andare via rapido sulla prima parte di resistenza, mastincando gli esercizi di routine; arrivar fresco al singolo a metà, inchiodando senza esitazioni l’esercizio tranello, superarlo di slancio per tranquillo passeggiare il muro finale, ritoccando gli errori, sistemando le sbavature.
e me ne resto li, aspetto, guardando il muro imbiancato male. appeso come un salame. “se volete ritirarvi no problem, consegnate tutti i fogli e su ciascuno scrivete “RITIRATO”.” queste le istruzioni che ci ha dato all’inizio. queste le istruzioni che dovrò probabilemnte eseguire. ma è la prima volta che proprio mi ritiro. di solito ci provo sempre duro, prima di arrendermi. fisso il nulla e ci penso un po’. un bel po’. addirittura per un attimo provo a fare un ultimo tentativo, chiedo corda e batto sulla calcolatrice. ma non c’è niente da fare, la correlazione di “churchill e berntein” è già bello se l’ho letta una volta, figuriamoci ricordarsela a memoria. temporeggio ancora un attimo, ma non c’è niente da fare: proprio i movimenti del chiave non mi vengono, è inutile, non tengo quelle tacche, nè quella correlazione in tasca. e allora alla fine mi arrendo; e scrivo piano, con la mia biro bic blu nuova di zecca, quel “ritirato” sopra al mio nome, e alla mia matricola. quasi meglio essere un numero di fronte a una prestazione del genere? mai. un fallimento? non credo, è stato bello, come sempre, essere qua. mi piace molto questa atmosfera da esame; mi piace sorseggiarmela e so che mi mancherà quando vivrò altre situazioni. mescolarsi con questi ragazzi coi quali condivido un percorso, simile sulla carta, ma che ognuno di noi vive a suo modo; assaporare questo clima di tensione misto a solidarietà: una soldarietà che era nell’aria da mesi, nata dal condividere pesanti giornate di politecnico, di colpo si palesa e tutti sono, all’improvviso, amici di tutti. come tra i passeggeri che aspettano un treno in ritardo causa sciopero. mi piace essere parte di questa situazione e al contempo restarmene nell’ombra, essere li nell’angolo e osservare, in silenzio. spiare con pudore la disperazione di chi sperava in un gran risultato, ammirare la tranquillità di chi è riuscito; gustarsi la desolazione e il trambusto nell’animo di chi proprio una mazzolata così non se l’aspettava.
prendo coraggio, mi alzo, consegno, sorridente. cosa penserà di me la prof? è intenta a parlare con le sue bambine, mi caga poco, le do il compito, prendo le mie cose e mi incammino. salgo le scale in mezzo all’aula incrociando qualche sguardo: occhiate intorrogative: già finito? com’è andata?; altre curiose, e altre supplichevoli di suggerimenti che aihmè, oggi proprio non posso dare. salgo piano, esco nel sole di luglio. salto in sella alla mia bici e pedalo per una torino sempre meravigliosa, anche se troppo calda; è strano da dirsi, ma mi piacciono un sacco gli esami, gli esami in generale, indipendentemente dal loro esito. poi certo, passarne anche qualcuno ogni tanto è comunque una spinta per l’autostima, ma bisogna lavorare sodo. insomma, come sempre, allenarsi! :D
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