diretta del diamante al pilastro est del corno miller

una linea meravigliosa. saliva dritta dritta alla vetta. precisa e maestosa, là in cima, incuneata in un posto incredibilmente lontano e nascosto. dominava tutta la valle, anzi, la Valle. già, tra le valli adamelliche quanto a quantità e qualità, per noi malati dell’arrampicata su roccia, la val salarno non ha eguali. per bellezza si dice non sia comparabile con la vicina valle adamè, dove anche campeggiano itinerari di grande bellezza e ambiente, ma come quantità e come storia la maiuscola se la guadagna tutta.

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sono stato per la prima volta in val salarno che avevo forse compiuto i 18 anni, col socio di sempre e qualche schizzo ricopiato male da atht. quella volta avevamo sbagliato montagna, per quanto non di molto, e fatto dei pezzi di vie diverse. la scarna relazione di asterix e obelix ci portò sui primi tiri di soldato blu (!!), poii violacei spit di gotica ci attirarono verso di lei. tenemmo quella linea fino a capitare sul tiro chiave di dottor goretex, che superai non so come, mettendo il primo chiodo della mia vita, un lametta, sotto un tettino, che dovetti addirittura staffare per raggiungere l’ultimo spit e poi la sosta. dopodichè, a un paio di lunghezze dalla vetta non ci fu modo di convincere il socio, che voleva solo appoggiare i piedi per terra prima possibile, e furono doppie e un ritorno massacrante.
me la ricordavo così, lontanissima dal fondovalle, con questo bel rifugio con al fontana fuori, e un sacco di pareti, che non ci capisci una mazza.
ma soprattutto me la ricordavo affascinante.

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così quest’estate, quando un giorno a caso, durante la sessione, mi arriva un messaggio di un numero sconosciuto che mi propone una via in val miller, penso subito che se si vuole andare in zona adamello, o sia valle adamè, dove non sono mai stato, oppure che sia val salarno, dove di roba da fare ce n’è a bizzeffe: il fascicolo, nel cassetto dei progetti, dedicato alla valsalarno è bello gonfio!
mando la mia proposta a filippo, col quale non avevo mai scalato prima, e che a malapena conoscevo di vista: ci eravamo conosciuti probabilemente anni e anni prima da qualche parte in kamunia, forse al kag, unico spazio sociale esistitio in valcamonica negli ultimi 20 anni e ora sgomberato da una schifoso sindaco fascista.
comunque sia il socio è in forma, gli piace un sacco il granito, e soprattutto è un camuno (e questo è importante ;D) e siccome è un camuno la mia proposta colpisce il bersaglio. la linea gli piace un sacco (proàga! :P), e anche l’idea di andare a cercarla, cosa questa non assolutamente scontata, anzi! proprio per questo sottolineavo l’importanza di avere un socio camuno! :D

della via non sappiamo molto: c’è la bella e precisa relazione del rivadossi su atht, e l’unica altra info (scopriremo poi fuorviante) era lo schizzo del rivadossi ricopiato male dagli autori della pessima guida uscita di recente sull’adamello. questa guida sgradava il secondo tiro da VII+ a VII-, oltre che cambiare un po’ il tracciato, cosa che ci ha in primis fatto pensare che qualche ripetitore avesse corretto al relazione originale (cosa che in effetti era strana, però valloasapere!!).
qualche scambio di sms, giusto in tempo per capire che siamo d’accordo sul non dormire al rifugio ma sul dormire in su e in qualche maniera ce la facciamo e una sera partiamo.

ci raccontiamo un po’ cosa facciamo nella vita e a passo svelto in un paio d’ore (che mi ricordavo essere 4!) siamo al rifugio. abbiamo il lusso di sacco a pelo e materassino e dopo qualche ora di sonno partiamo: sveglia presto perchè per le 6 dobbiam oessere giù che il socio deve lavorare! partiamo decisi, alle 7 siamo sotto il seracco: un canale di neve a 50/60° si frappone tra noi e l’attacco della via: io non ho che i ramponcini super leggeri e le scarpe bagnate dall’aquitrino dopo il rifugio, il socio nè l’altra nè l’una: senza picca è assolutamente infattibile! parecchio sconfortati decidiamo di ritirarci e scendendo ci facciamo un ripasso dell’arrampicata di placca adamellica scalando quelle splendide placconate di calcare di granitomachia, via storica della val salarno, che scaliamo, finalmente al sole, in assoluto plaisir.

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trotterelliamo giù un po’ mosci senza confidarci i dubbi riguardo la possibilità, questa stessa estate, di riuscire di nuovo a combinare tra impegni, meteo e voglia di fare l’avvicinamento, per provare a tornare e “far brillare il diamante” (cit.).

ma l’aver visto dal vivo sto pilastro affilato e affascianante, oltre che l’avere a che fare tutti i giorni con masse di turisti per lavoro, alimentano non poco la motivazione: da un lato la voglia di ritornare lassù in questi angoli remoti e selvaggi, alla ricerca di quella linea perfetta, diventata ora, per noi, ancor più intrigante; dall’altro l’idea di non voler essere parte della massa di automobili che si incolonna nelle autostrade, inseguendo miraggi e specchietti per le alloddole, che quando si dirigono verso le montagne finiscono per distruggere l’autenticità di realtà tanto più belle quanto fragili e incastonate tra le pieghe orografiche. e allora il desiderio di cercare strade diverse, di rispolverare i progetti nelle nostre montagne, il desiderio di avventura e di riscoperta. e se la voglia c’è, il tempo e il modo si trovano: eccoci pronti per tornare all’attacco.

signorina primavolta

signorina primavolta

decidiamo però, questa volta, di cambiare, ovviamente, strategia: superlight non aveva funzionato? allora andiamo di picca e ramponi e scarponi. si aggrega a noi un altro ragazzo camuno, anche, saremo in tre: zaini più leggeri. loro decidono di dormire al rifugio, io li raggiungerò la notte, dormendo fuori. questo era il piano.
non fosse che, vivendo in accampamento (sto vivendo in tenda da un mesetto ormai a questa parte), la frontale ti serve sempre: a far legna come a lavare i denti, a tagliare le carote come per andare a cercare le birre nella caverna. e le frontali si scaricano. e se finisci di lavorare alle 7 e ti dimentichi di passare al volo a comprare le pile è un casino. così mi ritrovo in macchina, diretto a saviore, e mi ricordo di avere la frontale scarica. merda. due orette di strada nella notte senza frontale non sono troppo allettanti. allora faccio retrofront: dormo a casa lo stesso numero di ore e poi via parto la mattina e su diretti. non posso comunicare con gli altri due che non hanno campo quindi dovrò essere puntuale: ovviamente non lo sono e mi tocca andare su a manetta: arrivo alle 7.04, 4 minuti di ritardo e li trovo che stanno comodamente facendo colazione. perfetto. sono già a pezzi, ma almeno li ho raggiunti.

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saliamo fino al punto raggiunto l’altra volta e troviamo il canale che si è parecchio ritirato (è passato direi quasi un mesetto). riusciamo a salire a piedi un bel pezzo in più, guadando (l’altra volta c’era uno strato di ghiaccio decisamente più consistente) e salendo dall’altro lato rispetto alla cascata del seracco, fino ad essere obbligati a ramponare a 50 metri dall’inizio della via.

saliamocosì l’ultimo pezzo del canalino agnostic dream e vediamo subito un chiodo. perfetto!

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tempo di cambiarsi e si decide che parto io. peccato osti, siamo in 3, con 9 tiri e io volevo fare i 3 finali del diamante. va beh, poco male, l’importante è fare la via!

parto a cannone, moschettono il chiodo, quindi non ho molto idea di dove andare: la relazione parla di fessure parallele sopra un tettino per il secondo tiro, mentre il primo va tutto in obliquo a destra. V+. mah! inizio a obliquare e diventa duro. torno giù un pezzretto, metto un chiodo, faccio qualche passo bello tosto: non molla! e non ci si protegge assolutamente: tutte fessure chiuse! continuo a obliquare mettendo alla fine qualcosa come 5 o 6 chiodi, tutti messi in posizioni improponibili e tutti abbastanza, a occhio, non troppo affidabili: male, malissimo. le fessure parallele non si vedono.. bo. di qua mi sa che è sbagliato. calarmi su un chiodo solo di quelli non me la sento, insomma risultato di un ora e mezza di sforzi non trascurabili: mi faccio calare nel canale, lasciando tutto in parete: un inizio disastroso!

però il primo chiodo era lì. e gli altri due, nel frattempo, sembrano aver intravisto quello che sembra un altro chiodo più in alto. vediamo anche chiaramente tutti e 3 un bello spit sotto un tettino, che sarà sicuramente la prima sosta, a una decina di metri dal canale. allora leonardo parte agguerrito verso quella prima sosta che scopriamo essere nient’altro che un lichene a forma di spit..

però la fortuna vuole che quel miraggio sia a poche decine di centimentri dalla sosta vera che, invece, non si poteva vedere da sotto: alla fine ci ero passato a mezzo metro di distanza senza vederla! ok, via trovata, le fessure sono sopra la sosta: parte leonardo e va via convinto: ignorando i ghiaccioli che pendono dalla lama, fiducioso della tenuta dei friend nelle fessure ghiacciate azzera il tettino e inizia a salire, inesorabile. noi in sosta cerchiamo di aiutarlo invano sulla direzione. intanto ha iniziato a nevicare: rabbiolina leggera, che però fa atmosfera: e noi che all’inizio pensavamo di farla in maglietta una via a sudest!

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alla fine leo raggiunge un punto dove sosta: niente spit però:abbiamo di nuovo sbagliato via! non senza complicazioni saliamo anche noi: fili va su d’un fiato, io cerco di recuperare qualcosina del materiale lasciato nel mio tentativo sotto, col risultato di rimanere appeso nel vuoto sotto una lama traballante con la corda incastrata in una lama affilata sopra la testa e niente su cui tirarmi se non blocchi mobili sotto al tetto: un situazione tragicomica dalla quale per uscirne necessiterò di una corda calatami dall’alto dagli altri due!

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finalmente arriviamo in sosta e salendo vediamo la strada giusta,la raggiungiamo e qui prendiamo la decisione: anche se è mezzogiorno passato, e abbiamo lasciato 5 chiodi e relativi rinvii in parete, quindi abbiamo non dico dimezzato, ma quasi, il materiale salvavita, proviamo a salire lo stesso e ad arrivare dove arriviamo!

fa ancora un tiro leo, quindi parte fili che macina con classe i successivi tre tiri placcosi e lavorati: l’esperienza su granitomachia aiuta: sono dei bei viaggi sul V/VI senza dentro gran chè: dei 2 o 3 chiodi relazionati, il primo è bomba, ma al secondo salta la testa ribattendolo. comunque due friendini e un po’ di margine e si passa.

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arriviamo sotto il diamante: sono parecchio titubante: adesso c’è il tiro duro, potrei quasi fare il cliente fino in cima… però dai cazzo, ho voluto a tutti i costi venire fino a qua, l’ho sognato sto diamante, proviamoci! e allora mi faccio coraggio mi faccio dare tutto il materiale possibile e immaginabile, attacco all’imbrago la staffa comprata nel periodo di dura astinenza in sudamerica e parto. la roccia è spaziale.

le fessure sono belissime e nette e i friend si staffano che è un piacere. anche gli incastri di mano tengono, meno la pelle che si strappa via parecchio in fretta. trovo un punto duro, ma scopro che il muschio nella fessura, schiacciando, la libera e si può mettere roba. vedo la vena di quarzo, trovo un chiodo, ne metto un altro, la raggiungo. la scalo, come fossi sulle uova, anche se sembra solida. l’ultima rimontina: c’è uno spit, ma ho finito i rinvii, lo rinvio con il mosch del friend rosso, alzo i piedi e sono in sosta.
un altro tirello di placchetta solcata da una fessurina e siamo sotto la vetta. sotto la cuspide sommitale. su una bella cengetta.

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non vedo l’ora di scalare quelle fessure perfette che solcano quello strapiombetto per poi rimontar fuori. i soci arrivano, ma mi danno una brutta notizia: vogliono scendere da qua: per loro la vetta non ha importanza, è tardi (sono effettivamente le 18), la via la considerano fatta e questo ultimo tirello di VII non vogliono farlo. io invece lo voglio fare, a tutti i costi. considero quasi di scalarlo slegato. alla fine concordiamo che mi faranno sicura e poi mi calerò subito.

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parto a manetta su questo tiro, denominato dai primi salitori “atletic dream”. anche qua non esito a staffare un friendino su un passo duro, quindi su ottime fessure raggiungo la crestina: mi ribalto fuori ed eccola: pochi metri mi separano da questa bellissima cuspide: è un vetta vera, a punta, ti ci siedi e sei il re del mondo. o forse solo il re del pilastro est del corno miller. però ti senti un re: davanti a me la distesa del pian di neve, che non avevo mai visto nella mia vita, e lì davanti l’adamello, che ti sembra una montagnetta qualunque e, a guardarlo da qua, non ti fa immaginare i vertiginosi precipizi delle pareti dei suoi versanti nord . incredibile, è fatta! bisogna ancora scendere ma la cima del diamante è stata calpestata!

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ok, ora è tempo di scendere: raggiungo gli altri con una doppietta e poi giù: 4 doppie, oltre quella dalla vetta, e siamo al nevaio. l’ultima mi permette anche di recuperare tutto il materiale lasciato nel tentativo storto: recuperiamo tutto e atterriamo precisi precisi sugli zaini.

pian pianino scendiamo la prima parte delicata di avvicinamento, quindi dico agli altri di avviarsi pure se hanno gamba, che io sono a pezzi e me ne scendo con calma: loro arrivano al rifugio con le ultime luci, io trotterellando li raggiungo ormai alla luce della luna. scendendo mi sento proprio parte di questo remoto angolo di selvaggio nel frattempo il tempo si è sistemato e il tramonto che ci regala la Valle è indimenticabile. la luna illumina le pietre sulle quali salto cercando l’equilibrio, le placconate la riflettono creando un’atmosfera magica. un po’ di stretching e birrozza al rifugio, quindi io parto a scendere mentre i soci si fermano un’altra notte: che invidia! ma a me tocca lavorare, e allora giù, alla luce delle luna che illumina i miei passi, parto in un viaggio psichedelico verso il fondovalle: ormai le energie sono esurite e scendo per inerzia, fermandomi ogni tre per due a riposare. ma non mi pesa: la testa è leggera e il sorriso stampato. quando mi fermo mi sdraio a terra, guardo la stellata magnifica e vedo stelle cadenti a manciate: penso ai desideri da esprimere, al futuro e al presente, sto bene, benissimo, mi vien voglia di fermarmi qua tutta la notte (anche per non ricominciare a camminare! :D). mi viene il dubbio che le stelle cadenti offrano solo la possibilità di esprimere desideri: si potrà invece usare una stella per ringraziare?

info tecniche e dettagli sulla via e la logistica.
AVVICINAMENTO: è bello lungo e molto molto bello e vario e impegnativo: si segue un pezzetto i lsentiero per il giannantoni, poi si taglia fuor ia sx come per l’avancorpo del cornetto, quindi si segue il vallone sulla sx orografica fino ad arrivare nella conca sotto il corno miller. noi a questo punto siamo saliti lungamente per pietrai praticamente fino contro la parete di quello che credo sia il corno occidentale. quindi per roccette si sale parecchio, sempre al riparo dal seracco. poi bisogna attraversa: questo è l’unico punto potenzialmente esposto: si traversa in orizzontale a guadare la cascata del ruscello che scende dal bivacco se il canale di neve inziia alto, se no si attacca il canale e si sale diretti. se si attraversa si esce abbastanza dal tiro del seracco e si sale per roccette per la via logica sulla dx orografica del canale fino a che si riesce, quindi si sale nel canale. epr quanto riguarda il seracco a noi è sembrato parecchio tranquillo: probabilmente in questi 20 anni si è abbassato di brutto! comunque resta lì sopra a guardare, ma il canalino agnostic dream a noi è sembrato piuttosto tranquillo. l’ATTACCO della via è facile da trovare (chiodo evidente nelle fessurina obliqua) mentre non è facile capire dove sia la prima sosta perchè non c’è un riferimento chiaro in quella sezione di parete: il deidro sulla sx non è distante e la sosta è nell’evidente fascia di rocce rotte dalla quale parte il tettino solcato dalle fessure parallele: quando l’abbiam fatta noi il primo tiro era lungo meno di una decina di metri ed obliquava veros sx. trovata la prima sosta tutto è in discesa: la relazione del rivadossi è veramente precisa, i chiodi segnati noi li abbiam trovati quasi tutti, a parte un paio che devono essere stati sputati fuori e uno che ci si è rotto nella placchetta del 5o tiro.
DISCESA: molto comoda in doppia: noi abbiamo lasciato qualcosina in tutte le soste che abbiamo usato per calarci: abbiamo usato l’ultima (s9), la s8, la s6 la s4 e la s3. quindi canale e l’avvicinamento a ritroso.
l’attrezzatura in loco sembra ancora in buono stato per quanto riguarda gli spit e i chiodi sono stati da noi tutti ribattuti per benino. (:D)
COMMENTO: una linea eccezionale, scalata sempre interessante nel genere, roccia quasi sempre molto bella. nel complesso un’avventura assolutamente da non mancare, per gli amanti del genere.
RELAZIONE relazione pdf dell’apritore su atht (approfitto per fare i complimenti agli ideatori e gestori del sito per tutto il lavoro!): http://www.adamellothehumantouch.it/VAL%20SALARNO/Val%20Salarno_2_Itinerari/Val%20Salarno_Corno%20Miller_Diretta%20del%20diamante.pdf

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fiori urlanti, strategie: ringo star

è da un bel po’ che volevo scrivere due righe. e finalmente, in una diluviosa mattina di fine luglio, finita la sessione e rinviato il primo giorno di lavoro causa meteo, riesco a mettermi davanti al mio pccino e raccontargli cose.

alpinisticamente parlando siamo sempre alle solite, astinenza non da poco, qualche giretto, mauvais temps, beaucoup de pluie, esami da fare e da rifare e riprovare, città da refrigerare senza successo e il sudore che ti appiccica il sangue nelle vene. eccetera eccetera.

placconate centrali

placconate centrali

però dai, in questo grigiore volevo parlare di strategia. già. strategia per raccontare una bella salita che siamo riusciti a infilare in un weekend tra un esame e l’altro per me e tra una settimana lavorativa e l’altra per i miei soci brianzolo/comasco/varesotti.

strategia perchè io, in quel gruppo rappresentavo strategicamente parlando ciò che è vecchio, conservatore, caiano (maledettammè!); il preventivo, il pesante, il cautelativo, il “melius abundare, gli antichi l’hanno detto”. invece gli altri erano ueli steck style: veloci aggressivi decisi e motivati, dinamici e scattanti.

dormire è da pigri (chi dorme non piglia pesci) e il sacco a pelo è superfluo.

due strategie differenti, insomma. io con un cazzo di zaino enorme, nonostante mi sembrasse di aver portato il minimo indispensabile, loro con lo zainetto light. e su da quelle cazzo di placconate di quarto innegabilmente un po’ li invidiavo. un bel po’. dopo qualche manciata di tiri, quando hai il materassino che fa volume legato sullo zaino e ti sbilancia ogni volta che ti giri a cercare il friend grosso lo maledici, il tuo fardello. ma al contempo forse, quando mi infilavo nel mio sacco a pelo bo, forse ero contento di averlo portato. e se, metti caso, avessimo finito per bivaccare in giro (cosa che, su una parete come quella, non è da escludersi) beh, penso che sarei stato contento di averlo dietro.

quindi bo, qual’era la soluzione migliore? forse una via di mezzo. forse come al solito è una questione di gusti.

gli altri due optano per la destra..

idem per la stretegia sul sentiero e sull’allenamento. sto bazzicando un po’ ultimamente un amico clusonese la cui recente morosa è molto sul pezzo dell’allenamento seriale: palestra, esercizi programmati, alimentazione controllata al grammo, eccetera eccetera. lui prima era un cazzone come tutti noi, ora si sta un po’ convertendo, ma comunque è uno al quale la montagna piace molto. così capita che ci troviamo ad andare insieme per monti. e sempre si discute di strategia: lui vuole andare su a manetta: per sentirsi in forma, sentire le gambe che girano, sentire il corpo che lavora bene a regime e si potenzia. sentire la fatica e dominarla.
invece il mio approccio alle camminate, specie agli avvicinamenti con zaino pesante, è esattamente l’opposto: andare il più veloce possibile ma stando bene attenti a stare sotto la soglia della fatica: c’è una velocità, almeno per quanto mi riguarda (ma credo che ci sia qualche fondamento scientifico) oltre la quale inizi a sentire la fatica. inizi a a andare oltre un livello di consumo energetico normale, a lavorare in sovraccarico. ecco, io cerco sempre di non raggiungere questo momento, di ottimizzare le energie.

il risultato di ciò è un mio andare piano, lento, tranquillo, che mi fa godere la montagna senza bisogno di prendere tempi o distruggere record. il mio socio invece va veloce come un treno e macina kilometri di dislivello. siamo entrambi contenti uguali quando arriviamo in cima, anche se ci arriviamo in tempi diversi. entrambi ci godiamo la montagna, ognuno con la fatica che ha voluto meritarsi e cercarsi.

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e sul badile ero bello cotto. vuoi lo zaino pesante, e la mia strategia fallimentare, vuoi che comunque è una bella girata e l’allenamento, in sessione, quello che è, come sempre. ma, bando alle strategie, siamo arrivati tutti su, in vetta a questa montagna bellissima, che da tempo sognavo di salire, guardando le foto delle sue pareti nord e sulla quale mai avevo messo le mani e leggendo i racconti leggendari di salite passate alla sotria dell’alpinismo.

la salita è bella lunga, abbiamo fatto un numero non definito ma abbastanza elevato di tiri (probabilmente qualcuno in più dei 18 della relazione!), abbiamo fatto percorsi diversi dalle due cordate davanti a noi, ma tutti ci siamo ritrovati al diedro finale: ringo star è così: è una via a caso, che ti fa navigare su placconate di granito, puntando il diedro finale: a te la scelta del percorso.

la roccia è sempre un ottimo granito, anche seovviamente capita qualche lama che suona vuoto e qualche pilastrino instabile ogni tanto sugli 800 metri di parete a nordovest. ci sono dei tiri magnifici nella prima metà, fessurine impensabili che tagliano lavagne compattissime. poi sopra va a senso. noi siamo stati più a sinistra, gli altri più a destra. noi forse abbiam trovato meno duro, gli altri di più. noi per poi abbiam dovuto traversare parecchio, ma abbastanza sul facile.

e poi il diedro.

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il magnifico. che quando sei li sotto gli tiri addosso tante di quelle bastemmie che sono paragonabili a quelle che tiri al rettore quando si firma il magnifico. però da scalare è veramente una figata, c’è poca da dire. nonostante la stanchezza, c’è anche la tranquillità di essere nel posto giusto, finalmente. dopo l’incongita delle placconate sotto, che in ogni istante può finirti la fessura e resti li come un coglione e devi inventarti cose, li c’hai il diedro. e per quanto faticoso e impegnativo, da li in qualche maniera si passa.

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e poi lo spigolo, la vetta, il bivacco, il tramonto. l’acqua che è finita;

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gli spagnoli che arrivano dallo spigolo distrutti ma felici. la sveglia in qui cubicoli provvidenziali, le doppie, e il sentiero giù fino ai bagni che è bellissimo ma sembra veramente lungo. e poi il rientro, in coda in una torridissima valchiavenna, in una delle domeniche più calde dell’anno. che vuoi solo scioglierti nell’afa della tua auto, poi alzi gli occhi, vedi lavagne di granito e ormai hai la nausea e vuoi solo buttarti in un lago. e poi finalmente, dopo ore di macchina il lago d’ieo, il consueto bagno, le piramidi, la freschezza. il paradiso.

tecnico: per chi volesse info sulla via e sulla stretegia (:D):
noi siamo partiti (per necessita forse pi uche per scelta) all’una circa dal parcheggio (bondo + stradina a pagamento, tichet dieci franchi parchimetro alla base); siamo saliti al sass furà (chi con calma come me e ci ho messo un oretta (*** ***** ;P), chi a corsa come loro allenati, grandi, ci ha messo meno, il cartello dice 1 ora e 45). dormito qualche ora (due tipo) li fuori, colazione alla modica cifra di dieci euro (!!) al rifugio. partenza ore 6 circa, una quarantina di minuti per prendere il ghiacciaio, che era, essendo abbastanza inizio stagione (era tipo i primi di luglio mi pare) bello chiuso. un oretta e qualcosa di ghiacciaio e alle 8 eravamo all’attacco. per la via ci abbiamo messo un bel po’ di ore (tipo 12, in vetta alle 20 circa). sul percorso c’è da dire che l’attacco originale era effettivamente bagnato, abbiam fatto una variante li a dx con un passetto di pèlacca per nulla nulla banale, poi si prendere sta sequela di diedri fessure abbastzna evidenti e poi in cima auguri fino al diedro che effettivamente è abbastanza evidente da circa metà via. usciti si piglia lo spigolo e in una cinquantina di metri si è in vetta. da qui per il bivacco conitnuando verso est/sudest una trentina di metri lo si trova lato sud, col chiro no problem a trovarlo. noi abbiam dormito li e siam scesi la mattina dopo. discesa da sud tutto ok, dall’obelisco si disarrampichicchia nel canale un centinaio di metri fino a trovare la prima calata sulla dx verso un canale laterale verso dx, quindi le sei calate sguono giù di là. dalla base ai bagni è bella lunghetta, mai mollare ;D. arrivati giù noi abbiamo addirittura trovato un pullman di linea che dai bagni andava a morbegno.


post scriptum:

per scendere dal paradiso una scena di quotidianità. uno quando gli dici ringo star, in italia, invece che al batterista pensa ai biscotti. e la pubblicità dei ringo che girava ai tempi della mia infazia era quella di dei ragazzi che giocavano a pallone e alla fine si battevano un cinque. una ragazzo di colore e uno bianco, le loro due mani andavano a formare rispettivamente il biscotto al cacao e quello alla vaniglia. il giorno prima di andare a fare ringo passavo per il mio paese in bici: vedo due ragazzi africani che passeggiano un po’ presi male. li saluto, come segno di fratellanza, e loro talmente spiazzati da un gesto di amicizia nei loro confronti, in primis neanche riescono a ricambiare. poi capiscono e mi fanno un sorrisone, come solo i nigga sanno e possono, che spettacolo. pochi metri più avanti ci sono delle ragazzine, sui dieci/dodicini anni. sono in due e camminano sul marciapiede in senso opposto al mio e a quello dei ragazzi africani. io passo in bici e sento di sfuggita una frase: “guarda marti*! ci sono due negri: io ho paura dei negri!”.
c’era anche la musichetta nella pubblicità: riiingo riingo.

*(il nome ovviamente è di fantasia).

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