urban climbing in seville, how to.

oggi tornavo da lezione. come sempre il mercoledì non so cosa fare dopo lezione: potrei andare al corso di spagnolo, ma così ho un’ora buca che non so come riempire. oppure posso sbattermene e tornare a casa, e fare cose. grandi cose da fare in realtà non ne ho, quindi in primis temporeggio. non ho neanche il libro di spagnolo in realtà. alla fine finisco, come spesso mi capita, al ponte di triana, che è giusto di strada ed è perfetto per procrastinare. posso riempire l’ora che mi manca per il corso di spagnolo, oppure farmi venire in mente cose da fare a casa valide per non andare al corso. mi sgranchisco le braccia e inizio a spararmi i traversi del caso. a una certa arriva un tizio, mi saluta, fuma un porrito senza dire una parola, quindi tira fuori una borsa piena di magnesio e inizia, con lo spazzolino in dotazione al ponte, a versare chili di magnesio sulle prese e poi spazzolarle. continua finchè il ponte non è tutto bianco. che già, voglio dire, è sempre bello bianco, e mi chiedevo come cazzo mai era così bianco. oggi l’ho scoperto. ero talmente scandalizzato che mi sono bloccato a guardarlo in maniera ebete. ebete e talmente vistosa che il tipo a una certa non poteva fingere di non accorgersi del mio sguardo e mi dice: mejor ahora no? io non rispondo, dissimulo, faccio ancora due passaggi sotto il ponte, dove ancora non era magnesato e me ne vado allibito. basito. sconvolto. cioè. immaginatevelo. tutti i discorsi sull’imperialismo, materializzati davanti ai miei occhi. ok, è una caso che io sia abbastanza avverso all’uso del magnesio, ma sono proprio le minoranze da rispettare quando si invade e si impone la propria cultura. certo in questo caso ero forse io l’invasore. e sono scappato a gambe levate. chissà che a granate di magnesio non si possano scacciare gli eserciti invasori di donald trump, quando arriverà a conquistare l’europa.

chiusa per un attimo questa piccola parentesi di questo tizio, poveraccio, volevo aggiungere però un pensiero generale sulla genialità dell’urban climbing sivigliano: mai mi sarei aspettato una lezione di stile venendo in andalusia: una lezione politica sul tema arrampicatorio.

in città infatti, c’è si un rockodromo molto costoso dove alla fine si va se si vuole allenarsi. però ci sono altre possibilità per scalare. c’è il ponte di triana appunto, dove si scala su una pessima e sporca arenaria a blocchi, che costtuisce la struttura del ponte; e poi c’è l’alamillo, dove si scala su delle belle presine di resina fisherate ai blocchi di cemento armato prefabbricati che costituiscono la struttura del ponte dell’autovia. nel primo caso si tratta di una zona super centrale (poche decine di metri da torre dell’oro e dalla cattedrale), una zona carina, giusto a fianco del guadalquivir, con miliardi di zanzare e di gente che va a correre. si scala su roccia vera, per quanto squadrata da chi ha fatto i bocchi e ritoccata con arnesi e cemento da chi ha scalato negli anni. è roccia vera lavorata da acqua e vento e ci sono prese che se non altro ricordano bene quelle naturali. e non ti disfano le mani e sono varemente variegate. e per quanto sia sempre terribilemnte sporco e umido almeno metti le mani sulla roccia che è figo. inoltre puoi scalare senza che ti serva nulla: i piedi per una fascia bassa sono buoni, quindi puoi scalare con le scarpe da skate senza problemi. lasci la bici e inizi a scalare. c’è la zona sotto il ponte, iperstrapiombante ma con un traverso scavato di prese buone, che tuttavia a me non attrae mai, vuoi per il mio non essere strapiombista, vuoi perchè scalare in strapiombo con quelle prese umide e senza un materasso dietro al schiena non finsice di convincermi; e poi c’è la paretina verticale dove fare i traversi, con un sacco di presine di dita belle e interessanti, dove con un po’ di fantasia ogni volta riesci a inventarti una sequenza nuova (che abbia una o magari anche due prese diverse dalla volta precedente.. :D). insomma, pro e contro, però meglio che niente!
e poi c’è l’alamillo. costruito tutto, a quanto pare, da dei volontari di un club, che non so che club sia, ne bene cosa sia un club. è uno spazio urbano, sotto un ponte, con delle specie di panchine di cemento e nient’altro. abbastanza fuori, ma non lontanissimo dal centro, è giusto prima del grande parco dell’alamillo e dietro il grande parcheggio della facoltà di ingegneria dell’ETSI (livellone! :D). a differenza che al ponte di triana qua si scala con la corda in linea di massima, mentre come al ponte l’accesso è libero e gratuito a chiunque passi per la testa di andare a tirar due tacche. sembra proprio di andare allo skatepark! talmente libero che a quanto pare parecchia gente viene qua a divertirsi a rompere litroni giusto contro la parete così che sono sempre bestemmie, ma questo è una altro discorso. qua non si può scalare senza scarpette (o meglio, certo che si può se si ha il livello, però sticazzi). si compone di una parete verticale non molto alta (10 m?), un traverso rasoterra molto lungo ideale per allenare la continuità, fatto di belle presine nette, e poi una serie di robe iperstrapiombanti: la volta del ponte vera e propria, dove ci sono una bella sfilza di vie toste, che a metà in poi viaggiano asintotiche verso l’orizzontale, e così facendo risultano belle lunghe, e un paio di sottoscala piu bassini. è tutto al coperto, essendo sotto il ponte e illuminato, così come triana, che però invece, si bagna almeno sulla parete esterna.

questa è la descrizione di quello che c’è. il pensiero è il seguente: scalata libera tutti. da noi ci sono le falesie, che, tocca ferro, per il momento restano quasi semore di libero accesso e gratuito a tutti. (con le dovute eccezioni, si pensi a marone dove mertà falesia è inaccessibile perchè ci stanno le capre del tipo o a onore dove c’è (per ora resta anche se speranzose news dicono che presto sarà liberata) un parco avventura costruito sopra alla falesia che ha impedito per anni l’accesso ad alcuni tiri.). facile quindi, per noi. ma qua, dove non c’è un cazzo di verticale per kilometri e kilometri (si parla di ora abbondante che poi è sempre quasi un’ora e mezza sia per il cerro del hierrro che per estepa) scalare è dura. però la gente si è organizzata e hanno inventato due situazioni come queste, che ti permettono, in qualche maniera, di tenere gli avambracci, non dico allenati, ma quantomeno un po’ stressati, anche senza lasciare capitali al rocodromo o alla gasolinera.

se quindi la spagna era già per noi, per certi versi, in questo ambito, modello utopico, con palestre d’arrampicata fighe e frequentate negli spazi sociali come modello standard, riesce ancora a esserlo, in questo senso, anche in una sevilla completamente pacificata dal punto di vista dell’attivismo politico a fini sociali.
si pensi al riguardo come in italia questo sia, d’altro canto, difficile da raggiungere: anche laddove una piccola palestra nasce con lo spirito giusto, come ad esempio nella pp del gabrio, a torino, che è frequentata e stracazzi, è difficile portarla al regime e al livello delle altre palestre ipercostose della scena torinese.
le cause di questo sono sicuramente in primis la differenza nei mezzi (le prese costano, non ce n’è di cazzi) e di risorse (pagare i tracciatori è qualcosa che in uno spazio sociale non ha senso. però portare i tracciatori negli spazi sociali si potrebbe fare), e in secundis anche sicuramente di gestione (derivanti per lo più dalle prime). però anche, azzardo io, per una questione di mentalità: come mi diceva il mio amico spagnolo gabriel il primo anno che stavo a torino: “è incredibile ma voi italiani, se ci sono due bar e in uno la roba costa meno, in linea di massima andate a quello piu caro.” e mi trovo in generale terribilmente d’accordo. è la storia della genialità della marca: se riesco a diventare figo, vendo a qualsiasi prezzo qualsasi cosa, sia anche uguale alla merda del mio vicino che non è figo. per quanto ovviamente non sia un discorso generalizzabile, e come me un sacco di altra gente, come mi auguro chi legge questo blog, sempre prediligerà andare a cercare il locale piu economico, tuttavia restano i fatti e le palestre che vanno sono quelle costose. perchè poi, quando una palestra va, oggi che l’arrampicata sulla plastica colorata va un sacco di moda nelle città (sempre di mode si parla), si crea un circolo virtuoso postivo che fa di quella palestra un lucroso affare, oltre che, non lo nego, una bella situazione per i climber, che sono spennati ma contenti.

insomma la lezione figa (a qual pro poi, sarebbe da discutere. si vuole alimentare o no una scena arrampicatoria? e ne nascerebbe una scena sana o si continuerebbe ad alimentare la scena malaticcia che abbiamo oggi nelle alpi? e il modello dei club qua come funziona? indagherò..) però, dicevo, una idea potrebbe essere: creare spazi a libero accesso, notte e giorno e pioggia o neve inclusi, dove la gente potesse andare a scalare, magari anche senza materiale.
sul come e dove? parliamone. sul quando fatemi finire qua ste storie. sul con chi invece lo lascio, per citare l’oroscopo di rob brezsny, come compiti per tutti.

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viaggio nel mar di calcare della concarena: atlantide

la concarena è lì. a metà valle. che quando passi sulla super non puoi non alzare gli occhi. e sempre pensi la stessa cosa: dove cazzo sarà che si scala tra quei canaloni pratosi scoscesi?
è lì anche quando scendi dalle valli centrali adamelliche: scendendo dalla val salarno ti si piazza davanti e ti copre il tramonto, del sole o della luna che siano.

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è un montagnone, un gruppo esteso formato da pinnacoli e vallate. se la guardi da lozio è un putiferio di crestine e forcelle e valloni e pratoni alternati a ghiaioni. e poi di là continua in qualche maniera, tramite i ladrinai verso il gruppo del camino formando una sinuosa silouette di creste che facilmente ti disorientano.

e, complice questa conformazione particolare, non ci sono grandi sentieri che vi si addentrano: la frenquentazione di questa montagna, che nell’immaginario camuno ha un posto preferenziale, tuttavia è molto scarsa: chi sale in vetta alla bacchetta vi sale dalla bella val baione, da sommaprada. e comunque è una bella salita, lunga e affascinante e selvaggia, comunque roba per intenditori di orobie. anche il bel bivacco che c’è in val baione non basta ad attirare frequentatori e questi luoghi rimangono remoti e sconosciuti.
e noi cercatori di selvaggio ci caschiamo a pennello.

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così partiamo e caschiamo, appunto, nella trappola della poca frequentazione da subito: non riusciamo neanche a trovare la strada in macchina! :D
non conosciamo la zona e partiamo convinti di trovarla facile sta baita iseo alla quale parrebbe si arrivi in macchina. invece dopo essere arrivati quasi al passo campelli, e aver sprecato litri di benzina e mezzore preziose nel cuore della notte, alla fine decidiamo che questa baite di parzaniga, che abbiam trovato, saranno un ottimo punto di partenza, e saliremo a piedi a sto rifugio baita iseo. salutiamo il padre di leo che, gentilissimo, ci ha dato un passaggio alle 3 di notte su per queste crode e ci incamminiamo.

giusto settimana scorsa ero con leo in dolomiti a bestemmiare le onnipresenti seggiovie: inutili catene a frenare la corsa verso il cielo di quelle guglie, figlie succubi di quel turismo di massa che cerca di monetizzare la bellezza, e ci riesce terribilmente bene spellando vivi gli ingenui avventori come noi! qua invece niente di tutto ciò! solo un sano e poco segnato bel sentiero che in una mezzoretta ci conduce al rifugio, nella maniera più semplice: con le nostre gambe. le stesse gambe che ci dovrenno portare fino alla base della parete, e poi in cima alla via. trovato il rifugio ormai è chiaro ma la confusione rimane: non c’è nessuno, nè tantomeno utili indicazioni: dove speriamo ci sia una cartina c’è un tabellone degli oroscopi! :D

senza la piu pallida idea di dove andare, partiamo a caso, visto che, nonostante l’alba che ormai arriva, siamo in mezzo al bosco. quindi bo, optiamo per andare a sinistra.. potremmo essere ovunque!
finalmente riusciamo ad avere uno scorcio al di fuori della boscaglia e vediamo la parete! è nella direzione giusta! parecchio distante, ma almeno l’abbiamo vista!
sentieri non ce ne sono e iniziamo a navigare a vista verso il nostro obbiettivo: pietraie da attraversare lasciano presto il posto a ripidi canaloni detritici e prati molto erti ci permettono di evitare calate altrimenti inevitabili. boschetti molto fitti lasciano il posto a arbusteti e coste detritiche. non senza fatica superiamo anche l’ultimo ostacolo grazie a una geniale traccia di camosci e risaliamo alla base della parete: 3 orette di ravanage duro e puro, non senza ostie, cadute, graffi et similia, ma siamo qua. in un paio di momenti avevo dubitato l’avremmo mai raggiunta, quindi possiamo considerarci soddisfatti. :D
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l’attacco è evidente e partiamo belli lanciati. sul primo tiro la roccia è già ottima, ma mi piglio un bel sasso in faccia! occhio nero e sopracciglio sanguinante. ottimo inizio! ;P

photocheck to ensure my eye is still there

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comunque sono sano e salvo e possiamo continuare.
ancora un paio di tiri molto belli e siamo al primo tiro di VI+, quello delle scaglie: molto bello e irto, è su roccia molto solida nonostante l’apparenza possa fare sembrare diversamente: la scaglia se fosse da scalare in dulfer sarebbe un po’ rischio, invece si scala a camino e la roccia risulta eccezionale. continuiamo a salire e la roccia è sempre ottima e solida! l’unico problema è la presenza di parecchio detrito in giro per la parete, specie sulle cengie, al quale bisogna stare all’occhio, specie con le corde.
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la relazione è vermente ben fatta e precisa e non lascia adito a dubbi, saliamo tranquilli senza sbagliare praticamente mai (incredibile per i miei standard!). la parte centrale molla un po’, c’è il tiro nel caminetto che con lo zainone da bivacco fa ravanare un po’, e poi via.

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arriviamo sotto gli ultimi due tiri di sesto non prestissimo ma con parecchio margine sul buio: per fortuna perchè ci impegneranno un bel po’ di tempo! il tiro di VI+, placca fantastica, è direi decisamente il tiro chiave della via: molto piu sestopiu degli altri, sono 50 metri di placca iper compatta, molto bella, tutta da scalare e da scalare meglio se tranquilli. i due chiodi relazionati ci sono e sono pure evidenti, ma sono solo due e bisogna guadagnarseli. sempre con prese piatte in mano e piedi abbastanza spalmati e per di più dopo una quindicina di altri tiri che comunque un po’ ti friggono il cervello. risultato in qualche manera ne vengo fuori, inventandomi di infilare qualche micronut, un chiodino precario a metà (che rimarrà lì a testimoniare la disperazione ahah! :D) e qualche altro escamotage d’esperienza (friendone nell’unico buco del tiro che mi fa tirare un respiro di sollievo in uscita). dopo penso quasi un’ora di lotta estenuante ho finalmente la meglio sulla placca, ottima sosta su un pilastrino e recupero il socio.
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“ottimo, rimane solo un tiro -penso- e lo fa il socio, poi terzo fino al bivacco”. invece sto tirello ci impegna non poco: la roccia è compattissima e non accetta protezioni. inoltre si sfalda un po’ (unico tiro con roccia non buonissima) e se provi a chiodare si staccano i blocchi: classicissima situazione da orobie! il socio non si fida e mi recupera sotto il grottino. vado io e non è che possa fare molto meglio: non si chioda neanche a pagarla oro.. il chiodo segnato non lo troviamo.. bo.. alla fine vado sprotetto e dopo due metri eccolo! erano sti maledetti due metri di quarto grado che spaventano. poi li ci si protegge bene, quindi senza problemi fino alla sosta: non c’erano reali problemi di difficoltà ma l’improteggibilità alla lunga gioca brutti scherzi! in sosta invece c’è addirittura uno spit (come in anche un altro paio di posti, dove la roccia potrebbe potenzialmente essere un po’ delicata). ultimi tirelli di terzo quarto e siamo in zona bivacco che effettivamente è ormai quasi sera!
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giriniamo un po’ a curiosare e alla fine optiamo per una bella grottina strettina ma lunga: ci stiamo entrambi per lungo! mettiamo qualche chiodo non ottimo ma sufficiente, mangiamo l’agognata cena e via a dormire, con panorama sulle luci di ono e capo di ponte! che spettacolo!

la notte fila via liscia, neanche troppo freddo, dormiamo tranquilli, qualche sassetto appuntito che attraversa l’esile materassino e entra nella schiena ogni tanto ti fa ricordare che stai dormendo nel posto più bello del mondo, ti metti un po’ in costa e continui a dormire: ci svegliamo che sono quasi già le sette!
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beh dobbiamo solo scendere.. solo!!!

facciamo di nuovo il tirello ad arrivare in cresta e poi via lungo la fine della cassin: una marseria immonda! veramente pericolosissimi alcuni pezzi da fare con le corde: si incastrano ovunque e viene giù tutto! fortuna che ci restano solo due o tre tiri! alla fine optiamo per una sorta di conserva lunga che ci permette di vedere dove si incastano le corde e proteggerci dalla caduta pietre in caso di necessità!100_4554

troviamo subito la calata, e riusciamo, non senza fatica a recuperare le corde. il traversino a prendere la cresta non è per nulla banale: anche qua tutto friabile, nessuna protezione da mettere, e pendenze non proprio trascurabili! restiamo legati cercando le isolette di prato scosceso e finalmente raggiungiamo la cresta che collega la bacchetta al vaccio.

bellissima la val narena ci fa l'occhiolino

bellissima la val narena ci fa l’occhiolino


qua la relazione consiglierebbe di scendere la val narena, e pigliare il “lungo sentiero delle forcelle”. informandoci però su questo sentiero, ci hanno sconsigliato di farlo perchè poco segnalato e, in caso di errore si finirebbe a far doppie per canali. tuttavia l’idea di risalire alla bacchetta, che provo a propinare a leo, sembra proprio non andargli giù. e in effetti la val narena da qua, sembrarebbe tutta rosa e fiori: si intravede una traccia e poi abbiamo tutto il giorno, lo troveremo sto sentiero!

quant’e mai!

comunque partiamo giù per ghiaioni, e la prima parte di discea va alla grande, troviamo addirittura degli sbiaditissimi segnavia cai che ci danno parecchio conforto! poi, man a mano la valle si impenna.. diventa sempre piu ripido con salti. un misunderstanding con leo e il suo whatsapp ci fa pensare di aver sbagliato e proviamo a salire un canale li a fianco: posto selvaggissimo e incontaminato. saliamo poi su una cima lì a fianco, alla ricerca di una fantomatica croce di cui parlavano delle indicazioni che ci avevano dato, ma nulla: chissà dove siamo finit! sicuro è che siamo in un posto veramente iper selvaggio: chissà se mai nessuno è arrivato qua sopra? per arrivare bisogna salire prati verticali con passi di arrampicata non banali, completamente sprotetti! e soprattutto non c’è nulla, e quindi chissà perchè qualcuno avrebbe dovuto venirci?!
per quanto la meraviglia per il selvaggio sia parecchio annientata dalla paranoia di non aver la più pallida idea di come scendere in questo putiferio di canali e guglie, non posso non pensare ai cacciatori di camosci che una volta giravano queste montagne spensierati, le conoscevano e battevano come le proprie tasche!

ripenso al pianetti: ricercato da centinaia tra carabinieri e volontari per gli omicidi coi quali si era vendicato della mafia valligiana che l’aveva condannato per il suo pensiero anticlericale e libertario, si rifugia sulle aspre rupi delle sue orobie, quelle dell’alta valbrembana, le più lontane da qua, e da lassù sbircia e si fa beffe dei suoi inseguitori che lo cercano invano! e con l’aiuto e l’appoggio dei mandriani, da sempre ostili ai poteri calati dall’alto, e le sue conoscenze di cacciatore di camosci, riesce a far delle impervie orobie il suo rifugio e a far sparire le sue tracce.

che bello pensare che le nostre montagne ancora ci riservino angoli assolutamente remoti dove nessuno ti troverebbe! dove nessuno mai magari è stato! o chissà se invece oggi, con le tecnologie di rilevazione corpi montate sui droni, ormai anche questi posti sarebbero assolutamente vulnerabili?
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penso a questo, ma poi torno alla realtà: decidiamo che questa strada non porta da nesuna parte e optiamo per tornare giù al canalone principale, scendere dove riusciamo e alla peggio cercheremo di fare doppie su alberi! qualche chiodo ancora l’abbiamo, insomma, possiamo giocarcela in qualche maniera.

e allora giù giù giù giù giù, l’acqua è finita, il sole batte forte, è quasi mezzogiorno! scendiamo per prati, abbastanza agevolmente finchè intravedo una cengetta laterale che mi ispira ed arriva a un forcellino.. do un urlo al socio ormai già parecchio più basso… -“vado a curiosare un attimo da questa parte.. sembra ci sia una traccia!” -“impossibile -mi risponde-: c’è un salto di 150 metri sotto quella cengetta di prato verticale!!” -“proe istès! …àda! un segno cai!!”
beccato il bivio giusto, saliamo al forcellino, poi vado su per creste ancora una volta assolutamente inesplorate e segni della croce che ci avevano segnalato non ce ne sono.. leo invece scende nel canale dall’altra parte e trova una traccia e poi addiruttra un cavo metallico! è di qua! allora via, poi si risale un altro canalino, si scende un canale erboso, poi si salta in uno a fianco, quindi a destra un colletto porta a un’avvallamento boscoso col quale si aggira uno speroncino con una grotta, quindi un traverso su prato scosceso porta, incredibile ma vero, al bosco!
cazzo il lungo sentiero delle forcelle era questo! sembra che l’ultima persona sia passata una ventina d’anni fa, scherziamo che probabilmente potevano essere gli apritori della via!
un capolavoro di ingegno valligiano, per raggiungere quel posto bucolico e meraviglioso che è la val narena! ma trovarlo senza info.. che fatica!! assolutamente il contrario della logicità!
comunque siamo al bosco, non ci sembra vero, freschetto, sentiero comodo, scendiamo giù senza avere la piu pallida idea di dove siamo. sicuro il lato della montagna è quello di lozio. scendendo trovaimo una provvidenziale fontana dalla quale credo avrò bevuto diversi litri d’acqua (al punto che poi fatico a camminare!) ma in qualche maniera rotoliamo fino al parcheggio dove il padre di leo ci attende per un altro provvidenziale passaggio fino a giù!
rientro impegnativo e da non sottovalutare diceva la relazione. assolutamente d’accordo!

a posteriori quel rientro è stato sicuramente parte integrante dell’avventura, insieme all’avvicinamento, ma nel mentre un bel po’ di improperi sono stati consumati in suo omaggio! :D
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la concarena, come tante montagne orobiche offre dei pacchetti completi: non solo la via in se, che di fatto è stata forse la parte più tranquilla, con roccia molto bella (che non ci aspettavamo), bella scalata, necessità di proteggersi, linea logica ed evidente; ma anche il bivacco, il selvaggio avvicianmento, l’avventura a scendere. insomma quel pizzico di incognito.
che nelle nostre vite iperprogrammate e ipersicure e ipercontrollate, dove se non trovi parcheggio in stazione devi prendere il gps e se non passa il pullman lo cerchi col satellite, fa sempre molto piacere.

informazioni tecniche (complemento alla relazione degli apritori che potete trovare qua)
commento generale: la via è molto bella: linea logica e scalata praticamente sempre divertente su roccia sempre da molto buona a ottima, eccetto un paio di pezzettini di qualche metro (su una via di 900 metri!) in alto, dove è difficile proteggersi ma sul facile. la poca attrezzatura in loco e l’isolatezza del posto ne fanno un gioiellino veramente interessante. avvicinamento e discesa risultano invece abbastanza impegnativi e richiedono senso della montagna e buona autonomia alpinistica.assolutamente consigliata, specie agli amanti degli avvicinamenti e discese un po’ selvaggi e da cercare!

in generale la relazione è veramente ben fatta, precisa e puntuale, rappresenta i pochi elementi necessari per orientarsi bene in parete!
avvicinamento: bo! noi siamo andati a caso: si raggiunge in qualche maneira il rif baita iseo, quindi abbiamo preso a sud (sx faccia a monte) per le baite di natu (?), che si raggiungono dopo qualche minuto. da qui mi segnalano esserci una traccia evidente che taglia in costa in direzione della parete: Da Baite Natù si prende una traccia abbastanza evidente che procede in costa verso i Golem; aguzzare lo sguardo in occasione di un primo tratto molto ripido che precede l’ingresso in un primo canalone; di qui più o meno in costa fino al Toc de la Nef;
(noi invece abbiam preso una cementata molto ripida verso dx (ovest) fino a un’altra baita e da qua a caso direzione sud-ovest: ci sono un tot di ghiaioni che abbiamo tagliato abbastanza alti. forse stand invece più bassi il tutto potrebbe essere più agevole, specie verso la fine ci sono diversi canali non facili da attraversare e diverse zona belle vegetate fitte che stando bassi si potrebbero evitare. altra soluzione potenziale potrebbe essere quella (non verificata) di partire da ono e prendere direttamente il canalone che sale alla base della parete: piu dislivello ma almeno c’è una direttrice evidente.)
attacco: facile da individuare: a destra dei muri molto compatti a buchi dove sale anche mamba nero: c’è un’enorme camino verticale; sulla destra parte un’altra via con diversi spit ravvicinati, quindi ancora a destra i due diedrii/camino dove parte la via salendo quello di destra.
la linea di salita è abbastanza evidente dalla relazione.
attrezzatura in loco: è esattamente quella segnalata nella relazione, noi abbiam erroneamente lasciato un punta giallo nella placca sopra di sesto piu, non fateci troppo affidamento.. :D le soste sono quelle segnate nella relazione: delle soste di calata lasciate nella prima ripetizione noi abbiam trovato solo la prima e la seconda a metà del secondo tiro! quindi se volete prendere in considerazione un eventuale rientro in doppia tenete presente che sono fuori via e da cercare! le soste di salita sono sempre buone, spesso da integrare (facilmente) con protezioni veloci, quasi mai indispensabili i chiodi. (comunque portarsene una buona scelta è cosa assolutamente buona e giusta!)
bivacco: al forcellino ci è sembrato difficile bivaccare: molto meglio bivaccare sulle cengette segnalate dalla relazione alla fine del penultimo tiro o li in giro: ci sono diversi posti, solitamente per una ma anche due persone. sulla cresta cassin anche ci sono posti da bivacco ma è tuto marcio e potrebbe essere difficile trovare protezioni solide.
DISCESA: DA NON SOTTOVALUTARE. lunga complessa e delicata.
primo pezzo: usciti dalla via, si prende la cassin. è un terreno molto friabile: valutate la vostra cosfidenza con questo terreno! mi sentirei di consigliare di non fare tiri lunghi. si trovano un paio di soste gia in loco, buone. c’è un solo punto particolarmente critico tra l’uscita della via e la calata, poi per il resto si va via bene non fosse per il detrito. la sosta di calata si trova facile, occhio che le corde fanno moltissimo attrito. dalla forcella c’è da traversare per qualche centinaio di metri su terreno facile ma parecchio insidioso in quanto friabile e abbastanza scosceso (una sorta di ghiaione di terzo con pezzi erbosi da attraversare).
a questo punto si può scegliere se salire alla vetta della bacchetta e scendere dal canale della normale, quindi epr la val baione. soluzione sicuramente più semplice anche se forse più lunga. risalire alla bacchetta non sembra presentare particolari ostacoli ma comunque è terreno d’avventura.

oppure scendere come fatto da noi dalla val narena e cercare il sentiero delle forcelle, che provo a relazionare grossolanamente:
relazione sommaria discesa dal sentiero delle forcelle dalla val narena a sommaprada di lozio
si scende, daprima per ghiaioji, poi per prati, l’evidente conca morenica della val narena (che è quella evidentissima davanti a voi) per un bel pezzo (50 min?), finchè non inizia a diventare sempre più ripida. tenere d’occhio il lato sinistro idrografico: ci sono dei primi canali che salgono verso la vetta del vaccio. continuare a scendere. si trova poi un canalino ripido con un dito di roccia nel mezzo: non è il canale da salire: continuare verso il basso. si scende ancora una decina di minuti seguendo i prati meno scoscesi finchè si vede un forcellino a sinistra e una fascia pratosa abbastanza ripida che conduce giustagiusta (in 5-10 min) a questo forcellino tagliando in orizzontale. si trova una traccia a ridosso della parete e la si segue (attenzione molto esposto!) fino al forcellino. di qui si scende il ripido canale fino al suo terminare nella stretta forra parallela alla val narena (5-10 min dal forcellino) . di qui si risale dritti un canalino/costa erbosa a specchio di quello da dove si arriva (direzione sud-est)(non il canale-forra principale nel quale si è entrati, ma un canale laterale sulla costa sx idrog di questo). si risale fino al culminare, quindi si scende dal canale pratoso sul versante opposto (lato valcamonica). si inziia a questo punto a intravedere i boschi dietro sommaprada. si scende questo canale un pezzo (5 minuti) finchè non bisogna tagliare nettamente a destra (traccia molto esile) a un colletto. (se mancate il bivio ve ne accorgete perchè ci dev’essere un salto prima del canale sottostante). dal colletto seguire la semiaccennata cresta erbosa verso sud, fino a una grottina (5 min). di qui ci si infila (traccia, ora piu evidente) nel boschetto di noccioli nel canaletto sulla destra (3 min), che porta poi, obliquando in orizzontale verso sinistra di nuovo al prato a sinistra della crestina erbosa seguita in precedenza (ovviamente piu in basso ove è meno ripido). seguendo la traccia si perviene così (altri 5 min) ai boschi di sommaprada dove per tracce e quindi per sentiero ben marcato, si scende al paese.
non è lunghissimo, se si sa dove andare, ed è molto bello. però se non si becca la strada giusta diventa un bel troiaio!

complimenti ancora agli apritori

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