fiori urlanti, strategie: ringo star

è da un bel po’ che volevo scrivere due righe. e finalmente, in una diluviosa mattina di fine luglio, finita la sessione e rinviato il primo giorno di lavoro causa meteo, riesco a mettermi davanti al mio pccino e raccontargli cose.

alpinisticamente parlando siamo sempre alle solite, astinenza non da poco, qualche giretto, mauvais temps, beaucoup de pluie, esami da fare e da rifare e riprovare, città da refrigerare senza successo e il sudore che ti appiccica il sangue nelle vene. eccetera eccetera.

placconate centrali

placconate centrali

però dai, in questo grigiore volevo parlare di strategia. già. strategia per raccontare una bella salita che siamo riusciti a infilare in un weekend tra un esame e l’altro per me e tra una settimana lavorativa e l’altra per i miei soci brianzolo/comasco/varesotti.

strategia perchè io, in quel gruppo rappresentavo strategicamente parlando ciò che è vecchio, conservatore, caiano (maledettammè!); il preventivo, il pesante, il cautelativo, il “melius abundare, gli antichi l’hanno detto”. invece gli altri erano ueli steck style: veloci aggressivi decisi e motivati, dinamici e scattanti.

dormire è da pigri (chi dorme non piglia pesci) e il sacco a pelo è superfluo.

due strategie differenti, insomma. io con un cazzo di zaino enorme, nonostante mi sembrasse di aver portato il minimo indispensabile, loro con lo zainetto light. e su da quelle cazzo di placconate di quarto innegabilmente un po’ li invidiavo. un bel po’. dopo qualche manciata di tiri, quando hai il materassino che fa volume legato sullo zaino e ti sbilancia ogni volta che ti giri a cercare il friend grosso lo maledici, il tuo fardello. ma al contempo forse, quando mi infilavo nel mio sacco a pelo bo, forse ero contento di averlo portato. e se, metti caso, avessimo finito per bivaccare in giro (cosa che, su una parete come quella, non è da escludersi) beh, penso che sarei stato contento di averlo dietro.

quindi bo, qual’era la soluzione migliore? forse una via di mezzo. forse come al solito è una questione di gusti.

gli altri due optano per la destra..

idem per la stretegia sul sentiero e sull’allenamento. sto bazzicando un po’ ultimamente un amico clusonese la cui recente morosa è molto sul pezzo dell’allenamento seriale: palestra, esercizi programmati, alimentazione controllata al grammo, eccetera eccetera. lui prima era un cazzone come tutti noi, ora si sta un po’ convertendo, ma comunque è uno al quale la montagna piace molto. così capita che ci troviamo ad andare insieme per monti. e sempre si discute di strategia: lui vuole andare su a manetta: per sentirsi in forma, sentire le gambe che girano, sentire il corpo che lavora bene a regime e si potenzia. sentire la fatica e dominarla.
invece il mio approccio alle camminate, specie agli avvicinamenti con zaino pesante, è esattamente l’opposto: andare il più veloce possibile ma stando bene attenti a stare sotto la soglia della fatica: c’è una velocità, almeno per quanto mi riguarda (ma credo che ci sia qualche fondamento scientifico) oltre la quale inizi a sentire la fatica. inizi a a andare oltre un livello di consumo energetico normale, a lavorare in sovraccarico. ecco, io cerco sempre di non raggiungere questo momento, di ottimizzare le energie.

il risultato di ciò è un mio andare piano, lento, tranquillo, che mi fa godere la montagna senza bisogno di prendere tempi o distruggere record. il mio socio invece va veloce come un treno e macina kilometri di dislivello. siamo entrambi contenti uguali quando arriviamo in cima, anche se ci arriviamo in tempi diversi. entrambi ci godiamo la montagna, ognuno con la fatica che ha voluto meritarsi e cercarsi.

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e sul badile ero bello cotto. vuoi lo zaino pesante, e la mia strategia fallimentare, vuoi che comunque è una bella girata e l’allenamento, in sessione, quello che è, come sempre. ma, bando alle strategie, siamo arrivati tutti su, in vetta a questa montagna bellissima, che da tempo sognavo di salire, guardando le foto delle sue pareti nord e sulla quale mai avevo messo le mani e leggendo i racconti leggendari di salite passate alla sotria dell’alpinismo.

la salita è bella lunga, abbiamo fatto un numero non definito ma abbastanza elevato di tiri (probabilmente qualcuno in più dei 18 della relazione!), abbiamo fatto percorsi diversi dalle due cordate davanti a noi, ma tutti ci siamo ritrovati al diedro finale: ringo star è così: è una via a caso, che ti fa navigare su placconate di granito, puntando il diedro finale: a te la scelta del percorso.

la roccia è sempre un ottimo granito, anche seovviamente capita qualche lama che suona vuoto e qualche pilastrino instabile ogni tanto sugli 800 metri di parete a nordovest. ci sono dei tiri magnifici nella prima metà, fessurine impensabili che tagliano lavagne compattissime. poi sopra va a senso. noi siamo stati più a sinistra, gli altri più a destra. noi forse abbiam trovato meno duro, gli altri di più. noi per poi abbiam dovuto traversare parecchio, ma abbastanza sul facile.

e poi il diedro.

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il magnifico. che quando sei li sotto gli tiri addosso tante di quelle bastemmie che sono paragonabili a quelle che tiri al rettore quando si firma il magnifico. però da scalare è veramente una figata, c’è poca da dire. nonostante la stanchezza, c’è anche la tranquillità di essere nel posto giusto, finalmente. dopo l’incongita delle placconate sotto, che in ogni istante può finirti la fessura e resti li come un coglione e devi inventarti cose, li c’hai il diedro. e per quanto faticoso e impegnativo, da li in qualche maniera si passa.

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e poi lo spigolo, la vetta, il bivacco, il tramonto. l’acqua che è finita;

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gli spagnoli che arrivano dallo spigolo distrutti ma felici. la sveglia in qui cubicoli provvidenziali, le doppie, e il sentiero giù fino ai bagni che è bellissimo ma sembra veramente lungo. e poi il rientro, in coda in una torridissima valchiavenna, in una delle domeniche più calde dell’anno. che vuoi solo scioglierti nell’afa della tua auto, poi alzi gli occhi, vedi lavagne di granito e ormai hai la nausea e vuoi solo buttarti in un lago. e poi finalmente, dopo ore di macchina il lago d’ieo, il consueto bagno, le piramidi, la freschezza. il paradiso.

tecnico: per chi volesse info sulla via e sulla stretegia (:D):
noi siamo partiti (per necessita forse pi uche per scelta) all’una circa dal parcheggio (bondo + stradina a pagamento, tichet dieci franchi parchimetro alla base); siamo saliti al sass furà (chi con calma come me e ci ho messo un oretta (*** ***** ;P), chi a corsa come loro allenati, grandi, ci ha messo meno, il cartello dice 1 ora e 45). dormito qualche ora (due tipo) li fuori, colazione alla modica cifra di dieci euro (!!) al rifugio. partenza ore 6 circa, una quarantina di minuti per prendere il ghiacciaio, che era, essendo abbastanza inizio stagione (era tipo i primi di luglio mi pare) bello chiuso. un oretta e qualcosa di ghiacciaio e alle 8 eravamo all’attacco. per la via ci abbiamo messo un bel po’ di ore (tipo 12, in vetta alle 20 circa). sul percorso c’è da dire che l’attacco originale era effettivamente bagnato, abbiam fatto una variante li a dx con un passetto di pèlacca per nulla nulla banale, poi si prendere sta sequela di diedri fessure abbastzna evidenti e poi in cima auguri fino al diedro che effettivamente è abbastanza evidente da circa metà via. usciti si piglia lo spigolo e in una cinquantina di metri si è in vetta. da qui per il bivacco conitnuando verso est/sudest una trentina di metri lo si trova lato sud, col chiro no problem a trovarlo. noi abbiam dormito li e siam scesi la mattina dopo. discesa da sud tutto ok, dall’obelisco si disarrampichicchia nel canale un centinaio di metri fino a trovare la prima calata sulla dx verso un canale laterale verso dx, quindi le sei calate sguono giù di là. dalla base ai bagni è bella lunghetta, mai mollare ;D. arrivati giù noi abbiamo addirittura trovato un pullman di linea che dai bagni andava a morbegno.


post scriptum:

per scendere dal paradiso una scena di quotidianità. uno quando gli dici ringo star, in italia, invece che al batterista pensa ai biscotti. e la pubblicità dei ringo che girava ai tempi della mia infazia era quella di dei ragazzi che giocavano a pallone e alla fine si battevano un cinque. una ragazzo di colore e uno bianco, le loro due mani andavano a formare rispettivamente il biscotto al cacao e quello alla vaniglia. il giorno prima di andare a fare ringo passavo per il mio paese in bici: vedo due ragazzi africani che passeggiano un po’ presi male. li saluto, come segno di fratellanza, e loro talmente spiazzati da un gesto di amicizia nei loro confronti, in primis neanche riescono a ricambiare. poi capiscono e mi fanno un sorrisone, come solo i nigga sanno e possono, che spettacolo. pochi metri più avanti ci sono delle ragazzine, sui dieci/dodicini anni. sono in due e camminano sul marciapiede in senso opposto al mio e a quello dei ragazzi africani. io passo in bici e sento di sfuggita una frase: “guarda marti*! ci sono due negri: io ho paura dei negri!”.
c’era anche la musichetta nella pubblicità: riiingo riingo.

*(il nome ovviamente è di fantasia).

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